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25 maggio 2025

È passato il Giro

 

 
È passato il Giro. Il Giro e la Gira erano i soprannomi dei miei nonni materni. Oggi i ciclisti che partecipano al Giro li chiamano i “Girini”. Come le future rane. Anche se noi da bambini li chiamavamo Cucchiarinejre(Cucchiarinelle). Sin da piccolo seguivo il ciclismo. Anche se non ho mai avuto una bicicletta. Nemmeno una "Graziella". Sono cresciuto con il dualismo Moser/Saronni.
 Io ero per Saronni. Addirittura affibbiai il nome Saronni a un amico di infanzia. Si chiama Saro come Fiorello e da lì divento Saronni. Indimenticabili alcuni nomi. Tipo Urs Freuler, Paolo Rosola. Ricordo De Zan che sparava a caso i nomi di quelli che attraversavano il traguardo. In Calabria era difficile, per me, vederne il passaggio. Quelle volte, ogni morte di Papa, in cui passava. Una volta riuscii a vederlo a Vibo Valentia. Per fortuna era di mattina e non andammo a scuola per andare a vedere passare il Giro. Presso l’Hotel 501. Posto rinomato nel bene e nel male.
 Negli anni novanta in Veneto quando si parlava di ciclismo veniva fuori, sempre, il nome di Coppolillo, unico calabrese al giro. Un mio collega era un ciclista da scalate dei passi alpini. Una domenica, due gennaio, ricordo ancora bene, con una temperatura di meno dieci gradi centigradi arrivò pedalando, con la sua bici da corsa. Da casa sua.
Distava quaranta chilometri. 
Qui dove vivo adesso, capita spesso di assistere al passaggio del Giro d'Italia. Ancor di più dopo la tragica morte di Davide Rebellin, perché come è successo ora è passato davanti alla casa dove abitava. Da più di 30 anni che ci abito vicino. Un bel posto. Che quando mi chiedono dove abito dico sempre: “In un posto della Madonna”. Difatti il quartiere si chiama Madonna e anche la via dove abitavamo prima si chiama Via Madonna. 
All’epoca il Rebellin famoso non era Davide ma suo padre. Gedeone. Aveva un piccolo market. Oggi trasformato in un bar tabacchi. Il giorno dell'incidente sono passato a una rotonda di fianco al suo cadavere. Un’autoambulanza, un lenzuolo verde e una bici accartocciata. Boh chissà chi era... Seppi la sera che era lui. 
Addirittura ai tornei di calcetto c’era una squadra che si chiamava “Gli amici di Rebellin”. Noi avevamo una squadra di cui la maggior parte erano cinquantenni. Ma eravamo tosti da battere. Anzi battevamo tutti. Finché in semifinale giocammo contro di loro e dopo venti minuti eravamo 3 a 0 per noi. Mio cognato Raffaele era in uno stato di grazia anche se arrivava prima la pancia e poi lui. 3 gol alla Romario. Mai visto giocare di fianco a me un giocatore così forte. E ho giocato anche con persone che avevano giocato nel Vicenza e in serie C. Da cui ho imparato molto. Anche se ormai erano passati gli anni in cui si apprende meglio. Che vuoi imparare a giocare con allenatori che non sanno nulla né di come si gioca a calcio, né di tecnica, né di niente. Comunque la partita, ben presto, finì in rissa. Il portiere non ne poteva più di farsi trattare da birillo da “Romario” e lo prese per il collo. Quindi volarono calci e pugni. Pochi fortunatamente. 
Negli anni novanta mi capitava spesso di incontrare Bruno Cenghialta e Fabio Baldato. Con cui si scherzava. Un giorno dissi a Baldato: “Adesso devo chiederti una cosa. Però devi essere sincero!” Lui mi guardo male. Avrà pensato questo mi chiede se mi dopo. Basta poco per capire come sono fatto. “Tu una volta hai vinto in volata a Parigi buttandoti nella mischia come un matto. Sarà che adesso hai famiglia e non lo fai più?” – “Si è vero solo da giovani si fanno le pazzie”.
 Per quanto riguarda il doping iniziai a non seguire più il giro, da tifoso, da quando anche i miei beniamini venivano beccati per ematocrito alto. Chiaro segnale di doping. Della cosa poi mi assicurò un ragazzo, del posto, che doveva passare ai professionisti. 
Disse che aveva rinunciato al professionismo in quanto gli avevano prospettato la storia delle trasfusioni. Oggi vende le biciclette. La passione rimane.
 Come per me. Quando abitavamo in via Madonna lavoravamo per la Campagnolo. E con i Girini, il Giro, le bici e le squadre dei corridori, avevamo molto a che fare. Tornò la passione. Ma più che per i ciclisti era per le bici. Raggi, mozzi, cambi, telai, pedali. Per i raggi ci toccava andare in Belgio a prenderli. I pedali in carbonio arrivavano dagli Stati Uniti a Verona. E appena sdoganati li portavamo in sede. 
Spesso andavamo dai produttori di bici, nelle sedi delle squadre o nelle loro officine. Mercatone Uno, Saeco, Bianchi, De Rosa, Cantine Caldiroli, Willer. Alla Mercatone Uno c’era Marco Pantani. Anche se, alla sua bici, dovevano cambiare una rondella. Dovevamo andare a Imola a prenderla e poi riportargliela. Un giorno, con mio nipote Antonio, che ancora arrivava giusto ai pedali. Ci fermammo all'Autogrill e ci facemmo i giri sulla sua bici. Il sellino, con il pirata ricamato, era top. Anche se a me Pantani non è mai piaciuto. Ma spesso lavoravamo per lui. 
Con l'altro nipote Francesco siamo stati un giorno intero a Vicenza quando ci fu la partenza di una cronometro. 
 Molte altre volte prendevamo delle bici per portarle alle fiere in Italia e all’estero. Una volta portammo le bici di Ulrich e di Vainšteins, campione del mondo in carica, alla fiera di Colonia. Un blocco di bici Saeco, tra cui quella di Cipollini, in Campagnolo. 
Ormai eravamo conosciuti dai meccanici delle squadre.
 In quegli anni c’erano molti ciclisti forti. Anche italiani. 
Adesso guardi il Giro solo per i paesaggi mozzafiato. Che vedi grazie all’elicottero. 
Non c’è nessun big e nessuna lotta avvincente Tra i corridori. Quest’anno l’unico big poteva essere Pogacar.
Ma il Giro, gira e rigira, non ha mai avuto il fascino del Tour.

4 agosto 2023

Pecora rossa o pecora bianca


 Sono le cose che non scegliamo a renderci ciò che siamo. Di sicuro questa non l’abbiamo scelta e penso che abbia contribuito a renderci ciò che siamo. Per me e per molti altri, per generazioni, alla nascita il genitore maschio sceglieva anche a quale confraternita dovevi essere iscritto. Del Crocifisso o della Madonna. Nel primo caso diventavi una pecora rossa nel secondo una pecora bianca. Ma questo valeva solo per i maschi. In quanto se alla confraternita potevano essere iscritti sia donne sia uomini. Alla processione vestiti con camice e mozzetta potevano partecipare solo i maschi… Alle donne iscritte, all’una o all’altra confraternita, era solo riservato l’accompagnamento all’ultimo viaggio da parte dei “fratelli”, della propria confraternita. Le “sorelle” non erano ancora previste. Il colore delle “pecore” dipendeva dal colore della “mozzetta” o mantellina. I camici erano per entrambi bianchi. L’appellativo di pecora nacque con l’arrivo del vestiario chiamato “cambius”. Nella rivalità delle confraternite c’era anche questa cosa qua. La cosa era molto più sentita dagli anziani. Una di queste una volta, mentre venivo definito pecora bianca, mi disse: “Meglio essere una pecora bianca che una pecora rossa. Perché le pecore rosse nemmeno esistono”. Nei giorni delle processioni c’erano gli sfottò. Un po' come per le squadre di calcio. Solo che per quanto riguardava le confraternite il tutto si consumava nei giorni in cui ci si “vestiva da fratello”. Durante la processione che riguardava solo la propria confraternita gli sfottò erano pochi. In quanto “i rivali” non uscivano tanto di casa e non andavano alla processione per non aumentare il numero dei partecipanti alla festa. Tutto si amplificava quando c’erano le processioni a cui partecipavano entrambe le confraternite.

18 novembre 2022

San Martino all'Abate

 
L’Abati (Abate) è un toponimo di una zona del paese fuori dal centro abitato. Un “avamposto” del paese di San Nicola. Difatti c’è una Cona votiva. Cona deriva dal bizantino con il significato di “immagine” o “icona”. È una cappella votiva in cui appunto c’è un altare con un’immagine o una piccola statua. In questo caso quella di San Nicola da Myra. Da cui il toponimo “Abati”. Da qui per passare oltre il torrente Fellà si deve passare su di un ponte. Ponte che durante la seconda guerra mondiale venne bombardato mentre il centro abitato non venne mai colpito, come avviene spesso nelle guerre. Ma da lì nacque la leggenda, secondo la quale San Nicola avesse coperto il paese rendendolo invisibile agli aeroplani, salvando così gli abitanti.
 
Comunque, tralasciando la storia e le leggende, questo era il luogo dove negli anni in cui ancora nel nostro paese c'era un po' di fermento, come quello del mosto, i giovani si coalizzavano in "gruppi". Il nostro gruppo era l'unico, originale e distinguibilissimo "gruppo Trenta". Alcuni ragazzi che ne facevamo parte, eravamo anche i "produttori" di uno dei vini più buoni che io abbia mai bevuto. Il vino "de Nicola de lu volanti"(Nicola del volante, soprannome) che,
 

7 novembre 2022

Il borsone. O meglio la borsa-valigia

 

Il primo sponsor dell’ARCI Crissense fu una pizzeria che comprò le tute e i borsoni per la squadra. A dire il vero chiamarli borsoni è esagerato. Diciamo che erano delle borse-valigia in gomma. Essendoci poche tute e poche borse-valigia a inizio campionato andavamo da quelli che non facevano più parte della squadra a chiedere indietro la preziosa merce. Le borse-valigia le usavano in pochi. Tra questi il capitano. Dentro ci metteva di tutto. Dallo scotch avana per fermare i calzettoni, sopra i parastinchi, alla carta igienica. Si perché il capitano ogni trasferta, specie negli spogliatoi con bagni nuovi, doveva segnare il territorio facendo i suoi bisogni. Negli spogliatoi casalinghi non lo faceva mai. Una volta dovemmo aspettarlo per più di mezz'ora terminata la partita. Ad aspettarlo eravamo quelli arrivati al campo di gioco con Vittorio. Da poco il capitano aveva cambiato gruppo macchina. Perché aveva saputo che il gruppo macchina di Vittorio, lui unico maggiorenne, finita la partita se ne andava in "gita". Una volta al ritorno da Sorianello passammo dalle piazze di Sorianello, Vazzano, Pizzoni e Filogaso. Prima il capitano lo si doveva passare a prendere sotto casa. Ma da quando venne a sapere di queste "gite", per di più con il tradimento dall'amico del cuore, Vittorio, non si faceva più prendere sotto casa. Ma arrivava in anticipo al circolo Arci e si sedeva nella nostra famosa127 rossa, anche mezz'ora prima della partenza.

Per tornare alla borsa-valigia una volta capitò un episodio esilarante. Anzi un episodio particolare visto che di esilarante c'era di tutto. Tipo quando l'arbitro chiamava i giocatori sulla distinta e un difensore si presentava come "Francesco numero due". E noi: "Bravo Nicola!!". Nome sulla carta Francesco nome fin dalla nascita Nicola.

E quando lo stesso partì per il Canada il suo posto lo prese un non cartellinato. L' arbitro chiamava: "Ireneo!". E noi:" Maffeo ha chiamato te". E lui: “Francesco numero due”.

L' episodio particolare successe a Vazzano. Il capitano quel giorno non riusciva a tirare fuori la carta igienica

 

La 127 rossa

Come detto altre volte quella era la nostra macchina. Alla sera ci rimanevamo dentro ad ascoltare le cassette. Per il calcio andavamo agli allenamenti e alle partite. Era la macchina della propaganda elettorale. Ci si metteva sopra un megafono e si andava in giro per annunciare i comizi o per attaccare i manifesti. È stata la macchina delle iniziazioni musicali. Bruce Springsteen con Tunnel of Love, Guccini già lo ascoltavo ma in quegli anni uscì Signora Bovary, un capolavoro che ancora oggi ascolto. A dire il vero in macchina c'era pure Bob Dylan ma a me non è mai piaciuto. Già quelle canzoni, in inglese, non le capivo e in più musicalmente non erano del genere che apprezzavo. Almeno di Guccini capivo le canzoni. Tutto proprio no, ma le trame erano ben sceneggiate. Un giorno Vittorio comprò l’ultimo album di Vasco Rossi, Liberi Liberi. Quel giorno disse: “Ho appena comprato questa cassetta di Vasco Rossi”, era ancora incellofanata, “Adesso ce l'ascoltiamo. Voglio vedere come si sente”. O sentire come si vede? Boh. “È originale. È costata parecchio”. Le cassette erano tutte originali ma lo stereo e le casse della 127 non lo erano di certo se non per quanto potessero essere vecchie. Era l'89 e ormai il capitano aveva preso il posto fisso sul lato passeggero di fianco a Vittorio. Noi da quattro passammo a tre sul posteriore. Vittorio infilò il nastro e iniziò a regolare il volume. Non so se ricordate dove aveva le casse la 127. Erano sugli sportelli laterali nella parte posteriore. Dalla parte di Vittorio il sedile era tutto in avanti. Dal lato passeggero più indietro. C'era comunque lo spazio per infilarci una mano. Uno da un lato e uno dall'altro mettemmo i fazzoletti per coprire le casse e Vittorio imprecava: “Non si sente per niente bene!! Ed è costata tutti quei soldi. Sono rimasto deluso dell’acquisto”. Allora provava ad alzare il volume al massimo e noi via i fazzoletti. Un frastuono. E lui

 

12 settembre 2022

Where it's party

Where it's party

1986. Usciva l’album True blue di Madonna. True blue, la canzone che dava il titolo all’album, ancora oggi quando la ascolto mi da quei due, tre, minuti di spensieratezza un po' come in quegli anni. L’incipit della canzone fa: “Eh!" -"Uè!” Proprio come ci salutavamo noi. Sarebbe “Ehi! What?” ma riascoltatela per farvi l’idea. Le canzoni arrivavano a noi con i juke-box oppure con le cassette nella 127 rossa di Vittorio. Quella macchina era anche nostra, visto che alla sera ci chiudevamo dentro ad ascoltare la musica preferita di Vittorio. Le cassette le comprava tutte originali e poi finivano con il nastro incastrato all’interno dell’autoradio. Non a caso li chiamavano i mangianastri. All’interno di quell’album c’era appunto Where it's party. I party, intesi nel vero senso del termine, con serate danzanti e qualche drink, avvenivano spesso in qualche casa vuota. Come quella di Domenico. All’ingresso del primo piano, una piccola cucina e un’altra stanza, mentre al secondo piano c’era la stanza con la moquette marrone dove si ballava. Ma si e no, in quella stanza, ci stavano 15 persone. Allora molti rimanevano all’esterno o nella piccola cucina dove c’erano anche i drinks: Il Martini non mancava mai, “No Martini, no Party”, anche se a quei tempi era conosciuto solo come vermouth, il Cinzano, altro vermouth, il Rosso Antico e il Ballantines. Però per noi i veri party erano quelli che facevamo al circolo ARCI. Guarda caso fu proprio lì che guardammo il primo concerto di Madonna in Italia. L’evento fu trasmesso in diretta da Torino nel 1987 dalla RAI. Chi non ricorda "Ciao Italia, ciao Torino. Siete caldi?". Ma di quel concerto vedemmo ben poco perché la corrente elettrica andava e veniva. In quegli anni capimmo bene il significato di corrente alternata. Ogni qualvolta pioveva la corrente mancava. Ma quella sera non pioveva. Così come, spesso, non pioveva quando mancava durante le partite di Coppa Campioni. Oltre che al sistema elettrico carente c’era anche qualche dipendente, ben pagato dall’Enel, che si divertiva. In quegli anni c’erano i tre canali RAI, i tre di Mediaset e qualche TV locale. Al cinema si andava solo con le scuole. Delle volte una persona adulta ci chiedeva di fargli compagnia fino a Vibo dove doveva andare a vedere un porno. Ma noi minorenni non potevamo entrare e ce ne andavamo in giro fino al termine del film. Quando da maggiorenni volemmo provare l’ebbrezza del film porno al cinema, andammo a Pizzo e dentro ci trovammo parecchi compaesani. Da minorenni l’unico modo per guardare i film porno erano le VHS, che guardavamo, sempre, al circolo ARCI. Solo che quando era aperto c’era sempre qualche avventore, se non Vittorio a rovinare i nostri piani. Allora trovammo il modo di ovviare a quella situazione. Del circolo avevamo le chiavi. Si “salava” la scuola, si faceva “sega”, no quelle le facevamo dopo, e tornavamo alla mattina da Vibo in autostop. Chi ricorda il circolo sa che era chiuso dall’esterno con una sbarra e un grosso lucchetto. Quindi se non avessimo lasciato tutto com’era, qualcuno si sarebbe accorto che il circolo era aperto e veniva a romperci le scatole. Allora di corsa

 

29 agosto 2022

Il Mostro

Il Mostro

 È proprio vero, la nostra memoria è come un’immensa cassettiera interconnessa. In ogni cassetto un ricordo. Quando apri un cassetto automaticamente se ne apre un altro connesso al precedente. Sappiamo cosa ci sia in quei cassetti ma alle volte frugando dentro quei cassetti, vengono fuori delle cose che ormai si pensava fossero state cancellate dall’hard disk. Ma, come ben sappiamo oggi, dall’hard disk molti file possono essere recuperati, da alcuni programmi in questo caso da stati d’animo o da situazioni che molto somigliano a quelle che si credevano cancellate. Infatti raccontando degli anni in cui eravamo distratti, quelli in cui vivevamo con quell’insostenibile leggerezza dell’essere, mi è tornato in mente che il nostro amico maggiorenne, non solo guidava la macchina di suo padre ma anche quella del fratello. Entrambe FIAT 131. Non sono mai salito su un'auto più comoda della 131. Quando ti sedevi dietro era come sul pullman quando ti sedevi ai posti in fondo, nella parte centrale del corridoio. Le 131 erano una verde, quella del padre, e una con un colore strano, una specie di rosso/fucsia del fratello più grande. Quest’ultima 131 la chiamavamo il “Mostro”. Forse per come era ridotta e per come si “comportava”. Infatti un giorno mentre andavamo al mare nei tornanti, che ci portavano giù dalla collina, quando si girava a destra iniziava a suonare il clacson fino a quando lo sterzo non girava nella direzione opposta. Quando si era in rettilineo o si girava a sinistra nessun “comportamento” strano. Quel giorno dopo il mare, al ritorno, invece di andare alla gelateria “Enrico”, come spesso capitava, andammo più in là de La Murena, verso Pizzo, che solitamente frequentavano le sere d’inverno in cerca di qualche pizzeria. Arrivati nel centro abitato c’erano i vigili. Ma la strada era dritta quindi nessun problema. Quando il vigile decise di fermarci e a dire ad Attilio “parcheggia sulla destra” il mostro iniziò a strombazzare all’impazzata. “Che cavolo suoni?” – “Non sono io è la macchina”. Scende alza il cofano e stacca qualche filo per tacitare il Mostro. Una sera andammo a una pizzeria verso Serra sempre con il Mostro. Era inverno. In quegli anni era divenuta una zona poco raccomandabile con un sacco di attentati e altre brutte storie. Infatti era stato mandato l’esercito. E a un bivio che portava a Serra c’era un posto di blocco h24. Essendo una zona fredda la sera e la notte avevano un falò sempre acceso. Quella sera ci fermarono e controllarono lo stato del Mostro e il suo contenuto. Come avrete capito lo stato del Mostro era pessimo e al suo interno c’erano anche delle cose che il nostro amico, come tutti, si era portato via da militare. Uno di loro disse: “Andatevene via subito e non fatevi più vedere da queste parti, sennò vi sequestriamo la macchina”. Veramente si chiama Mostro... Solo che al ritorno dovevamo ripassare da lì. Al ritorno un cenno: “Siamo sempre noi”. Come detto, lui era più grande di noi ma aveva un fratello della mia età, abitavamo vicini.Il fratello in quegli anni aveva un’altra compagnia, mentre la nostra, di compagnia, si rinsaldò ancor di più quando si fidanzò con la sorella di un altro nostro amico. Di suo padre ancora ricordo il fischio. Da bambini alla sera, quando era ora di cenare o di rincasare, si sentiva quel fischio. E i due fratelli non esitavano un secondo a salutarci e a tornare a casa. Con lui, i suoi fratelli e suo padre si vendemmiava e dalla sera di San Martino si cominciava a consumare quel vino. Una sera, proprio a San Martino, in 5 ne bevemmo 15 litri. Lo so bene perché riempivamo una damigiana da 5 litri direttamente dalla botte. Un 25 aprile c’era un caldo asfissiante. Oggi si sarebbe data la colpa al cambiamento climatico. Avevamo deciso di andare al mare. Ma c’era qualche lavoretto da fare e quindi aveva bisogno di aiuto. Allora decidemmo di andarci al primo maggio. Tanto sarà caldo anche quel giorno, pensammo. Al primo maggio andammo al mare ma c’era un freddo cane. Ma ormai era d’obbligo farsi il bagno. Prendiamoci questa botta di freddo e poi torniamo a casa. Quell’estate ci portava spesso al mare anche perché ci andava la fidanzata con i parenti francesi e noi dietro a lei. Prima di lei, ancora quando era militare, sempre al mare, si era invaghito di una ragazza a cui chiese l’indirizzo promettendole che le avrebbe mandato una cartolina da dove era militare. “Va bene” disse lei, “Però sulla cartolina non ti firmare con un nome da maschio. Firmati Attilia, così so che sei tu”. Il posto dove vendemmiavamo e dove festeggiavamo era sulla strada che portava al mare. Un giorno passò la fidanzata che come quasi tutti i giorni, per un paio di settimane, andava al mare con i parenti francesi. Tra loro c'era una ragazza, un po’ più piccola di me, carinissima, che la volta prima, sempre al mare, avevo conosciuto. Si fermarono con la macchina e dissero: “Vi aspettiamo al mare”. Ma il giorno prima avevano mezzo litigato e lui era poco propenso ad andarci. E io dentro di me ripetevo: “E andiamo, e andiamo”. Niente, non ci andammo. Così la francesina

 

21 agosto 2022

Quando si è giovani è strano

 

Quando si è giovani è strano

 

Seconda metà degli anni 80. Quelli della mia compagnia, il gruppo trenta, avevamo 16/17 anni qualcuno 18. Uno poteva guidare la macchina di suo padre e dentro ci trovavamo le cassette di Guccini, De André, Battisti. Eppure io nella macchina di suo padre ricordo di averci visto solo cassette di tarantelle e di "Micu lu pulici." Quando ancora c’era lo stereo8. Forse erano dei fratelli più grandi. Adesso eravamo passati alle cassette più sottili. Comunque il più gettonato in quella macchina era Guccini. Forse perché chi ci portava a giocare a calcio ci faceva ascoltare spesso Guccini. Ripensando a quegli anni mi torna in mente una frase di una canzone, anche se questa era riferita ad eventi tragici e non al nostro modo di pensare e di vivere: “Quando si è giovani è strano” (Canzone per un'amica). L'inverno passava tra scuola, calcio e qualche serata di mangiate in compagnia con immancabile ubriacatura, per poi finire al campo sportivo a fare gli "allanamenti" al buio, visto che il giorno dopo i più fortunati avrebbero giocato con la squadra del paese e i meno fortunati a fare panchina. L'estate, senza scuola, si passava a fare vasche in piazza e qualche giornata di mare. Avevamo poco o forse avevamo tutto. Come mi è già capitato di scrivere,
 

24 marzo 2013

Settimana bianca a Roma




Molti si saranno chiesti, oppure se lo staranno chiedendo in questo momento, se sia mai possibile trascorrere una settimana bianca nella città eterna. Eppure per qualcuno, forse, fu possibile. L'occasione propizia per poter, magari, coronare il sogno di una vita, non fu la nevicata del '56, come qualcun altro giustamente potrebbe pensare, bensì l'occasione, come dicevo, propizia per quel qualcuno si presentò allor quando a Roma si tenne una manifestazione nazionale per il lavoro. Era la metà degli anni '80. Anni nei quali questo tipo di manifestazioni erano di moda. Eravamo nel pieno degli anni di fango. A quei tempi non c'erano, come adesso, distinzioni tra centrodestra e centrosinistra. La magna magna al governo era generale. Erano gli anni dei governi del pentapartito. All' opposizione c'era invece la vera sinistra di un tempo, che era quasi tutta concentrata nel grande partito comunista del compianto Enrico Berlinguer. Partito che veniva da un 30% di voti ottenuto alle elezioni europee. La manifestazione per il lavoro era organizzata dalla confederazione sindacale C.G.I.L. , C.I.S.L. , U.I.L. . Per il nostro paese era organizzata dai soliti noti, Francu Tete, Alfredo, Ntone lu cecatu ed altri, magari meno noti di questi. Da notare che, naturalmente, il viaggio verso la capitale era gratuito, o meglio il tutto era a spese della confederazione sindacale. Nessuno, anche qui naturalmente, aveva nulla da ridire su queste spese. Cosa che invece fu rinfacciata al Berlusca quando lo stesso organizzò a spese del suo partito e dei partiti alleati una manifestazione nazionale contro il governo. Avete mai visto voi una manifestazione a spese dei manifestanti e non a spese di organizzazioni sindacali o di qual si voglia altra associazione? Vedremo più avanti come andò quel viaggio, gratuito, verso la capitale. Comunque, era quella manifestazione che offriva anche a noi la possibilità, oltre che a quel qualcuno di trascorrere la sua settimana bianca, di andarcene a Roma per un giorno, un sabato, gratuitamente. Naturalmente non per manifestare, ma per passare un sabato diverso. Un sabato nuovo. Per di più a gratis. Sapemmo della manifestazione, e quindi del viaggio, solamente il giorno prima. Quindi non ci fu molto tempo, a nostra, ed altrui, disposizione, per poter decidere tranquillamente sul da farsi. C'era un pullman da riempire. E che pullman. Il nostro gruppo nel gruppo si compose da subito da me, Bruno G. e Nazzareno P, assidui frequentatori della sezione paesana del P.C.I. . A noi si aggiunsero Pasquale M. e Nicola M.. Però volevamo infoltire ancor di più quel gruppo nel gruppo, che da lì a poco sarebbe andato ad unirsi a un gruppo immenso, gruppo di circa un milione di manifestanti, nonostante la questura. Anche se questo come ho già detto non era nelle nostre intenzioni. Passammo il pomeriggio a cercare, in piazza, qualche altro "compagno" da unire alla piccola comitiva. E qualche altro passeggero di quel pullman sgangherato. Nessuno era disposto a venire. Mancavano poche ore alla partenza. E c'era anche la scuola il giorno dopo. Niente da fare. Nessuno si voleva unire a quel piccolo gruppo di manifestanti. Fu così finché, davanti al tabacchino, non passò "Colaccinu". Al secolo Nicola F.. Il quale era sempre indaffarato con i suoi lavori. E non era uno che frequentava la piazza. Quel giorno a quell'ora passò con la sua vespo. Ed il destino volle che si imbattesse in noi, che non avevamo il suo da fare. Colaccinu era uno che nella gioventù ne aveva combinate delle sue. Dal bersi la candeggina pensando fosse acqua, all'ustionarsi il volto con della benzina. Si racconta che quel fatto successe perché accese l'accendino in prossimità del serbatoio della sua vespa, per vedere quanta miscela ci fosse dentro. Forse questa era solo una leggenda. Non era leggenda, invece, il fatto che avesse la faccia tutta nera per via di quell'ustione. All'arrivo di Colaccinu, così come per ogni altro passante in quel venerdì pomeriggio, la domanda fu: "A Nicola ti nda vene a Roma?". Dopo un po' di spiegazioni su come ci si doveva arrivare e su quello che dovevamo, almeno sulla carta, andare a farci, Nicola esclamò: "Quasi quasi mi nda vegno. E si vegno mi spagnu ca mi la fazzu la settimana bianca" (Quasi,Quasi vengo anche io. E se vengo ho paura che mi faccio la settimana bianca). Datemi un po' di tempo che mi organizzo e poi vi saprò dire con precisione, disse. Si partiva, da sutta a "Ndon Titta", alla mezzanotte, per arrivare a Roma in mattinata. Lì, Colaccinu si presentò con sulle spalle un grandissimo scatolone che sembrava un baule. In quel momento cominciavamo a credere veramente alle sue parole. E cioè che si sarebbe fatto, davvero, una settimana a Roma. Evidentemente, visto che doveva essere una settimana bianca, dentro aveva scarponi e salopette, piuttosto che gli sci. Ci sarebbero potuti entrare, da quanto era grande quel bagaglio. Bagaglio legato con lo spago, come nelle migliori tradizioni. A Colaccinu mancava solo il colbacco. Ma poi avrebbe imitato troppo Totò e Peppino de "La malafemmina" e lui era un tipo originalissimo. Da notare che quella settimana che doveva essere, nelle sue intenzioni, bianca, era una settimana di fine maggio. Comunque partimmo alla volta di Roma. Il viaggio fu uno strazio. In autostrada venivamo puntualmente sorpassati da pullman gran lusso, con tanto di aria forzata, a quei tempi andava di moda questo termine, che avevano la stessa nostra meta. Mentre noi, al massimo, nonostante fosse quasi estate, potevamo permetterci una stufa. Stufa che, quelli che sedevamo nella parte posteriore del pullman, avevamo sotto i piedi. La stufa era il motore di quel vecchio trabiccolo. E ogni tot di chilometri bisognava fermarsi, in qualche piazzola piuttosto che in qualche autogrill, per fare in modo che la stufa si raffreddasse un po'. Nella parte posteriore del pullman solitamente si sedevano i casinisti. Ed in quella parte posteriore erano seduti anche i componenti di un altro gruppo nel gruppo, anche loro casinisti, che era composto, fra gli altri, da Claudio Bajuni, Vitu Bettega e Vitu de Maria Gnau. Loro ebbero la splendida idea, per loro ma anche per tutti gli altri, di portare un sacco, quelli di carta della farina, pieno di rosette. Il sacco pieno se lo erano procurato poco prima, a loro spese e non della confederazione sindacale, naturalmente, al panificio, che a quei tempi funzionava "alla papa" e dove ci lavorava anche il "nostro" Pittis. Fu quella la trovata, insieme a "chilati" di affettati vari, che allietò il viaggio verso la capitale. Capitale in cui arrivammo la mattina seguente, verso le otto e trenta. Qui iniziarono le prime schermaglie, attraverso i finestrini, con i passanti, per le vie di Roma. Neanche fosse stata una trasferta calcistica. Scendemmo dal pullman davanti alla stazione Termini. E lì ci venne indicata la piazza dove ci saremmo dovuti ritrovare, verso le quattordici e trenta, per il ritorno a casa. Ritorno a casa, che visto il pullman e visto che nessuno di noi conosceva Roma, non era poi così tanto scontato. Il gruppo nel gruppo degli organizzatori paesani si incamminò verso il posto dal quale prendeva inizio il corteo dei manifestanti. Il gruppo nel gruppo degli altri casinisti non vidi per dove si diresse. Il nostro gruppo nel gruppo aveva appuntamento, davanti alla stazione Termini, con la sorella di Nicola M. che in quel periodo studiava a Roma all' università. Colaccinu, che faceva gruppo a sé, lo vidi indirizzarsi per non so bene dove, in mezzo a tutto quel traffico, con sulle spalle quel suo bagaglio, che per come lo portava doveva essere bello pesante. Il contenuto, oltre che pesante, doveva essere molto importante. Sparì nel nulla. Anzi nel "molto" della Roma che ci trovavamo davanti. Luci, colori, semafori, cartelloni pubblicitari, suoni, grida, clacson, sirene, macchine, pullman, taxi, barboni, lavavetri, accattoni, poliziotti e naturalmente manifestanti. Nel frattempo arrivò la sorella di Nicola insieme al suo ragazzo. La quale, per la paura di quello che avremmo potuto combinare o che ci fosse potuto accadere per le vie di Roma, ci disse che a Roma, visto che ci sarebbe stata la manifestazione, quel giorno, sarebbe rimasto tutto fermo. Dai pullman alla metropolitana ad ogni sorta di mezzo pubblico di trasporto. E ci esortava a prendere parte alla manifestazione insieme al gruppo organizzatore paesano. Naturalmente noi dubitavamo delle sue parole, ma la invitammo ad andar via tranquilla in quanto saremmo andati alla manifestazione. Da lì allo scendere sotto la metropolitana la strada fu breve. Penso che ci facemmo tutte le fermate che era possibile fare, tra le due linee della metropolitana, per quel che riguardava il centro di Roma, in quel lasso di tempo, che avevamo a nostra disposizione. Ove era possibile scavalcavamo i tornelli, che oggi sono diventati famosi per gli stadi sicuri, per non pagare il biglietto. Nella metropolitana così come per le vie della Roma antica ne vedemmo di tutti i colori. Ma per quanto giovani eravamo sicuri. Tranquilli, non tanto. Come quando in metropolitana Nicola M. fece capire a tutti noi, e ad alcuni brutti ceffi, quanto fosse sicuro di se. Tenendo il portafoglio stretto in mano attraverso la tasca dei pantaloni disse: "lu partafogghio no cazzu mi lu futtenu" (Il portafogli non me lo fregano). La mattinata ci volò via. Arrivarono presto le tredici e trenta e c'era da trovare la piazza, Ragusa, penso di ricordare bene, dove avremmo dovuto ritrovarci e dove avremmo dovuto essere per le quattordici e trenta. A quell'ora in quella piazza ci ritrovammo tutti, quelli che eravamo partiti. Tranne uno. Colaccinu. Lui mancava all'appello. Era proprio vera l'intenzione di farsi la settimana bianca. Lo vedemmo dopo un po' di tempo in piazza davanti al solito tabacchino dove ci disse che era rimasto a casa del fratello. Che in quegli anni viveva a Roma. In ogni caso rimane ancora oggi il mistero di cosa, quel giorno, portò a Roma in quel grandissimo scatolone, tanto da somigliare ad un baule, legato con lo spago. Se davvero dentro ci fosse tutta l'attrezzatura per la settimana bianca, oppure ogni ben di dio, tra suppressati, satizzi, pane, vinu,ojjo, olivi scacciati, zziriminguli, pruppuna, frittuli, ndujra, boccolari, pumadora calijati, ascadi, castagni, nuci, nucijri, e li pasticcini sicchi, fatti da Scaturchio, che non possono mai mancare. Si, in quel grandissimo scatolone poteva starci tranquillamente, anche, tutto questo. Se Colaccinu trascorse la sua tanto sospirata settimana bianca in quel di Roma e coronò, in quel modo, il suo sogno, rimane a tutt'oggi, insieme al contenuto del suo "pacco", un mistero.

La ciccarizza, il circo e tutto il resto



Cummare Teresa. Una donna rimasta senza marito troppo presto. Un marito che per me, ancora bambino, era colui che era ritratto nella foto del quadro affisso nella mia aula, quella delle scuole elementari, sullla parete che stava alle spalle del maestro Mazzè, quello che suonava la fisarmonica, come quella della canzone di Morandi. L'allora presidente della repubblica Leone, quello che c'era prima di Pertini. Una donna rimasta troppo presto da sola con dei figli da crescere, o meglio "d'avanzare", ed una potiha, quella di alimentari, da portare avanti. I figli, nei miei ricordi, mi sembra fossero tre. Una femmina di cui i ricordi, quelli di prima, sono vaghi, il già citato Toniucciu, quello dell'immancabile terza categoria, e Francesco, che ricordo sia per la sua stazza sia perché aveva un cane che come stazza più o meno lo eguagliava. Ma mentre il cane non metteva paura nemmeno nelle rarissime volte in cui abbaiava, lui solo a guardarlo incuteva timore. Il cane si permetteva di uscire da solo per farsi la passeggiata e fare i suoi bisogni. Era sempre mansueto tranne la volta in cui "Frangu Cingumila" gli voleva aizzare il suo di cane, Argo. Perché a suo dire lo avrebbe sistemato. "Si nciu liberu su mangia". (Con il suo marcato dialetto pizzitano. Nel paese si parla un dialetto molto diverso da quelli del circordario. Somiglia di piu' a quello salentino che a quello vibonese). Anche se poi alla fine se non fosse intervenuto Francesco le cose sarebbero finite diversamente, molto diversamente. Ma l'episodio che riguarda la protagonista di questo racconto, avvenne davanti alla sua potiha, quella di alimentari sita in via Fiorentino, nel primo anno in cui il circo arrivò a Sannicola, non quello Orfei. In quell' episodio cummare Teresa dimostrò di che pasta, non quella che vendeva nel suo negozio, quello di alimentari sito in via Fiorentino, fosse fatta e che tempra, non il modello di macchina della FIAT, gli anni gli avessero dato. Il circo stazionava "supa a Micu de Lena" ma i componenti di questo venivano spesso in paese per le loro commissioni e per le loro piccole spese giornaliere. Tra questi c'era un' avvenente signora, dalla bionda chioma, che con la sua macchina si fermava lungo via Fiorentino ogni qual volta doveva entrare in qualche posto, farmacia, comune, ecc. finché non si fermò poco avanti alla potiha de cummare Teresa, quella di alimentari sita in via Fiorentino famosa per il registratore di cassa parlante. A quel punto, dopo innumerevoli fermate, il traffico andò in tilt, come avviene solitamente nelle grandi città nelle ore di punta. Al che cummare Teresa indispettita venne fuori dalla potiha, quella di alimentari.. beh lo sapete gia'... ed intimò alla sconosciuta donna dalla bionda chioma, quella del circo che quell'anno per la prima volta arrivò a Sannicola e che stazionava supa a Micu de Lena: "A mu ti move mu ti nde vai cu sa machina, ca no passa cchiu nujru!!". Ora non so se la signora dalla bionda chioma avesse capito quelle parole dette in dialetto, quello del paese, ma essendo anch'ella una donna che nella sua vita da "nomade" ne aveva viste di tutti i colori, come quelli del costume del clown che faceva parte del circo che quell'anno per la prima volta arrivò a Sannicola e che stazionava supa a Micu de Lena, si sentì in obbligo di rispondere a tono: "Se vengo lì la prendo a schiaffi!!". Ma cummare Teresa per nulla intimorita, non come noi quando vedevamo arrivare il figlio Francesco, controbatté all'istante, a suo modo e con atteggiamento irrisorio disse: "Ancora no venisti!!". La donna rimase attonita, come la terra al nunzio sta, quella dell' ode del Manzoni, e non poté far altro che mettersi la coda tra le gambe, come gli animali del suo circo che come detto quell'anno per la prima volta arrivò a Sannicola e che stazionava supa a Micu de Lena, salire in macchina e dar fine a quell'ingorgo che aveva stizzito cummare Teresa, come quella volta che... A dire il vero non conosco altre situazioni come questa o per lo meno non ne sono stato testimone, come quelli chiamati alla sbarra in tribunale, come si vede ad un giorno in pretura, come potremmo andare avanti all'infinito, come quello di Leopardi, non quelli del circo, anche perché il circo che quell'anno per la prima volta arrivo' a Sannicola e che stazionava supa a Micu de Lena, di leopardi non credo proprio ne avesse. Ma alla ciccarizza di tutto questo resto non importavana nulla. A lei importava solo del resto da restituire ai propri clienti, quelli della sua potiha di alimentari sita in via Fiorentino famosa per il registratore di cassa parlante.

L'immancabile "terza categoria"






Nel mio passato il periodo di fine estate coincideva con l'inizio della preparazione atletica per affrontare l’imminente campionato di terza categoria con le maglie dell’ARCI UISP Crissense. Preparazione che veniva annunciata, presentata e programmata con l'immancabile incontro presso la sede del circolo ARCI, tra tutti i componenti del "gruppo", dal presidente, all'allenatore, ai sostenitori e naturalmente ai calciatori. I più giovani di questi ultimi, reclutati dal talent scout Toniuccio, che quando serviva qualche giovane cliente presso il negozio di sua madre, immancabilmente gli chiedeva: "Quanti anni hai? Vuoi essere cartellinato con l'ARCI?". Così come immancabilmente negli ultimi anni l'allenatore sarebbe stato "Lu zzu Gore" (Lo zio Gregorio). Il quale altrettanto immancabilmente, durante l'incontro di "programmazione”, tesseva le lodi di "Raffelinu Gallorinu", come da lui chiamato, presentandolo come il giovane più promettente ed una futura realtà per la nostra squadra. A dire la verità Raffaele ha sempre avuto del talento evidenziato dal fatto che fosse mancino, anche se da lì in poi non fece mancare esilaranti accadimenti. L'immancabile preparazione aveva inizio con sedute atletiche, nella zona "Camunni" (Pineta vicina al paese) o presso il campo sportivo, non uno di preciso tra Sannicola, Vallelonga, Filogaso, Capistrano. Quando c’era brutto tempo si sceglieva Filogaso in quanto secondo Vittorio a Filogaso era sempre primavera. Vittorio era il factotum della squadra: Presidente del circolo, magazziniere, finanziatore, giocatore, preparatore atletico, allenatore in campo, autista, segnalinee, inteso come tracciatore, e chi più ne ha più ne metta. Durante gli allenamenti Vittorio ci esortava a fare le respirazioni rivolgendoci con il viso dalla parte in cui, secondo lui, arrivava l'ossigeno: "De jra vene"(Da lì viene), solitamente, quando eravamo allu Critaru (Toponimo), verso Coppari (Vulcano spento). Agli allenamenti immancabilmente c'erano i concerti flatulenti alle spalle di Pileggione (Il capitano), il quale non poteva fare esercizi ginnici a terra perché, a suo dire, avrebbe sporcato la tuta e sua madre non gliela avrebbe lavata. Tute che nell'anno in cui ci vennero regalate dal nuovo "sponzorro” (Sponsor) come lo chiamava Nicola T., Rauti di Chiaravalle, andavano bene, vista la taglia, solo a Vittorio ed a Raffaele Famoso. Da notare che Rauti era quello di Alleanza Nazionale mentre il circolo ARCI era notoriamente un circolo di comunisti. Se le tute erano piccole, la divisa del portiere era così bella che Nicola T. si ripromise che la sera sarebbe uscito, con la maglia indosso, in piazza con la moglie a passeggio. Con l'inizio del campionato si svolgevano settimanalmente due allenamenti, a cui era indispensabile partecipare pena l’esclusione dai convocati visto che la formazione era sempre la stessa sia che giocavamo contro la prima sia che giocavamo contro l’ultima. Il sottoscritto poche volte faceva parte della lista dei convocati, visto che era quello che scriveva i manifesti per L’ALLANAMENTO e molto spesso pubblicava la lista dei convocati, precedendo Lu zu Gore, forse perché avevo avuto qualche soffiata, difatti dalla lista non potevano mancare Natale Lino o Natalino (!?!), nessuno ha mai ben capito quale fosse il vero nome, Andreotti, non il ministro e i due Mari, che poi diventarono tre. Questi erano gli stranieri della squadra. Se non altro il sottoscritto prese parte alla lista dei convocati quando si dovette andare a giocare a Fabrizia, una partita di recupero, da giocare il mercoledì alle 14:30, dopo che la gara era stata rinviata per neve. Quel giorno i giovani reclutati da Toniuccio, tornammo prima da Vibo, quindi dalle scuole, per arrivare per tempo a Fabrizia. I convocati eravamo 16 così quanti ne potevano entrare in distinta e quindi anche poter entrare nel recinto del campo sportivo. Se non che Lu zzu Gore ancora alterato per le mie "anticipazioni" e perché gli avevo detto che non lo avrei votato alle elezioni comunali. Consegnava all'arbitro una distinta di soli 15 giocatori e il sottoscritto si dovette godere la partita all'infuori del recinto che delimitava il campo sportivo. Fu così che di mercoledì ed in un paese lontano avevamo almeno un sostenitore. Però oltre il sottoscritto nemmeno il suo "pallino" gli fece mancare momenti di gioia. Uno dei tanti quando andammo a giocare a Melicuccà. Una partita equilibrata così come il risultato, 0 a 0 fino ad un quarto d'ora dalla fine, quando successe l'irreparabile. Non si sa come, l'arbitro ci assegnò un rigore, e li successe un putiferio, l'arbitro venne selvaggiamente picchiato da persone entrate in campo dall'esterno. Noi non potemmo fare altro che metterci in disparte, avete presente la zona? ed aspettare che il tutto finisse, così come fece l'arbitro, che, una volta finita l'aggressione, si ritirò negli spogliatoi per redigere un referto, ma volle comunque continuare la partita pro forma. Allora rimase il rigore da battere e la decisione su chi farlo tirare spettava all'allenatore. E chi meglio di Raffelino Gallorino? “Rafele tiralu tu!” -"Bene!" Raffaele con il suo mancino spiazzò il portiere ma la palla malauguratamente finì sul palo e tornò fuori area, la partita finì 0 a 0 e tutti noi a dire: "Tutte quelle mazzate all'arbitro per un rigore sbagliato?". Chissà cosa potesse pensarne il povero malcapitato. Le partite continuarono così come i campionati. E venne un periodo in cui l'allenatore non fu immancabilmente lu zzu Gore ma Vittorio. Adesso faceva anche quello. Forse perché lu zzu Gore rimase scottato dalle mazzate che immancabilmente prendemmo in seconda categoria, a tal punto da abbandonare la carica. Si perché per un anno l'immancabile terza categoria mancò, perché fu seconda categoria. Un regalo da parte della federazione perché immancabilmente Vittorio iscriveva la squadra alla terza categoria. Una partita indimenticabile, anche per la pioggia a catinelle, fu quella contro Pizzoni, al campo sportivo di Capistrano. In quella partita ero titolare. Non c’era più l’altro allenatore. Addirittura segnai il gol del 3 a 0 finale. Partita in cui Bruno G., vista la pioggia, voleva giocare con un cappuccio in testa, con Vittorio che lo esortava a non farlo in quanto sarebbe stato "Cchiù dannoso"(Più dannoso). Il cappuccio della felpa, durante il riscaldamento lo mise anche Nicola T., facendolo esaltare a tal punto da farlo sembrare, a suo dire, "Rocki Barbera". La partita cominciò sotto una tempesta mai vista e Vittorio faceva l'allenatore e contemporaneamente il giocatore. Nonostante le "mazzate" e la pioggia a lu zzu Gore il calcio faceva sangue e quel giorno venne a vedere la partita rimanendosene all'asciutto ed al calduccio della sua macchina. La pioggia nel secondo tempo cessò ma rimase qualche pozzanghera qua e là, il campo di Capistrano è sempre stato uno dei migliori come drenaggio. Ma il destino come si sa, si ripete. E anche in quell’ occasione ci venne assegnato un rigore. Fortunatamente l'arbitro non venne picchiato. Ma cosa successe? Lu zzu Gore scese dalla macchina in preda all'istinto di salvaguardare il proprio pupillo ed esclamò a gran voce: "Oh Vittorio fa mu lu tira Rafele!!!!!!!". Al che Vittorio non seppe dire di no e Raffaele si apprestò a tirare il rigore. Rigore che immancabilmente fu tirato di sinistro ed immancabilmente il portiere venne spiazzato. Ma anche, ahinoi, immancabilmente il rigore venne sbagliato. Ma stavolta non fu il palo a fermare Raffelino Gallorino, ma, visto che il tiro era rasoterra, una pozzanghera, ad un metro dalla porta, dove il pallone rimase arenato. Vittorio partì con la sua collera contro Raffaele il quale secondo lui non avrebbe dovuto presentarsi sul dischetto con un campo in quelle condizioni, perché troppo "leggerinu" e che non avrebbe dovuto tirare rasoterra, eppure ce lo aveva mandato lui sotto l'egida dell'ex allenatore. Fortunatamente a conclusione di ogni campionato, negli ultimi anni, ci fu anche l'immancabile cena del rompete le righe, e anche lì avvenivano le immancabili cose turche, ma queste forse le racconteremo un’altra volta insieme a tutti gli altri aneddoti dell'immancabile terza categoria.

La conversione di Vittoriejro?






Dopo il pellegrinaggio "alla Grazzia" a Torre di Ruggiero, documentata su questo sito. Vittoriejro vuole dare prova tangibile del suo rinnovamento spirituale, l'occasione ghiotta e' la festa degli emigrati 2006, da lui, come sempre, organizzata, massima espressione del suo IO (SUO ? ). Nella tradizionale riffa, organizzata per raccogliere fondi indispensabili per la riuscita della festa, per 2° premio viene messa una statua di Padre Pio(vedi foto) che secondo indiscrezioni Vittorio avrebbe comprato già un paio di anni prima. Fatto sta che Vittorio, per incrementare le vendite di biglietti, durante le serate "festive" metteva in bella mostra la statua davanti al proprio circolo, creando una discutibile connessione tra sacro e profano. Sembra che durante queste serate siano apparsi dei cartelli "Parrocchia San Vittorio" e addirittura degli oboli per le offerte dei fedeli. Il fatto curioso era che, in fondo, nemmeno lui ne fosse tanto convinto di questa conversione,tant'e' che dopo la riffa avvenuta il 13 agosto, durante la quale il sottoscritto faceva notare che, intanto,la festa si era protratta per un giorno in più profittando della mangiata offerta dell'amm. comunale, e che Vittorio aveva intenzione di fare concorrenza alle feste organizzate dalle due Confraternite con la nascita della Confraternita Padre Pio, per alcuni giorni nessuno si fece avanti per ritirare il premio (ritirato poi da Maria Trombì) e Vittorio cominciava a denotare segni di insofferenza: "Chistu e' nu menzo miraculu,voi vidire ca no si la pigghia nujru ?!?. La mento all'asta a cui mi offre decchiù!! ". Fortunatamente dopo un paio di giorni la statua venne ritirata e Vittorio cercò di convincere i presenti(io,Filippo della Pennsylvania,Bruno Galati e il sommo poeta) della sua impossibile conversione, "dimostrabile scientificamente", con un arringa delle sue. Si dice che un indizio e' un indizio,ma che due indizi sono una prova. Ora non ci resta che attendere futuri sviluppi che, visto il personaggio, non mancheranno di sicuro.
 
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