4 agosto 2023

Pecora rossa o pecora bianca


 Sono le cose che non scegliamo a renderci ciò che siamo. Di sicuro questa non l’abbiamo scelta e penso che abbia contribuito a renderci ciò che siamo. Per me e per molti altri, per generazioni, alla nascita il genitore maschio sceglieva anche a quale confraternita dovevi essere iscritto. Del Crocifisso o della Madonna. Nel primo caso diventavi una pecora rossa nel secondo una pecora bianca. Ma questo valeva solo per i maschi. In quanto se alla confraternita potevano essere iscritti sia donne sia uomini. Alla processione vestiti con camice e mozzetta potevano partecipare solo i maschi… Alle donne iscritte, all’una o all’altra confraternita, era solo riservato l’accompagnamento all’ultimo viaggio da parte dei “fratelli”, della propria confraternita. Le “sorelle” non erano ancora previste. Il colore delle “pecore” dipendeva dal colore della “mozzetta” o mantellina. I camici erano per entrambi bianchi. L’appellativo di pecora nacque con l’arrivo del vestiario chiamato “cambius”. Nella rivalità delle confraternite c’era anche questa cosa qua. La cosa era molto più sentita dagli anziani. Una di queste una volta, mentre venivo definito pecora bianca, mi disse: “Meglio essere una pecora bianca che una pecora rossa. Perché le pecore rosse nemmeno esistono”. Nei giorni delle processioni c’erano gli sfottò. Un po' come per le squadre di calcio. Solo che per quanto riguardava le confraternite il tutto si consumava nei giorni in cui ci si “vestiva da fratello”. Durante la processione che riguardava solo la propria confraternita gli sfottò erano pochi. In quanto “i rivali” non uscivano tanto di casa e non andavano alla processione per non aumentare il numero dei partecipanti alla festa. Tutto si amplificava quando c’erano le processioni a cui partecipavano entrambe le confraternite.

Quando passava la confraternita rivale le donne davanti all’uscio di casa ti guardavano male e alle volte sentivi qualche “Eh, pecora bianca”. Tra noi ragazzi invece lo sfottò avveniva nelle vie del paese in cui si doveva fare inversione di marcia e le due colonne bianca/rossa e bianco/nera si incrociavano. Ecco una delle cose che col passare degli anni mi piaceva della mia confraternita. I colori. Lo stendardo era bianco intarsiato di stelle color oro e i bordi neri. Uno dei portatori dello stendardo era mio padre quindi io avevo l’onore di tenere i “cimboli”. L’altro portatore era Mastro Toto. Quindi i portatori dello stendardo erano due Antonio. E i “cimboli” li tenevamo i due Pasquale. I due figli portavamo, tanto per fare il gioco di parole, anche lo stesso nome. Nelle zone periferiche lo stendardo veniva ceduto anche a Nicola C. e al giovane Gregorio F. Durante quegli anni feci anche da chierichetto nella chiesa della Madonna del SS. Rosario e andavo con il parroco quando c’era da dare l’estrema unzione. La carriera da chierichetto penso finì quando a sette, otto, anni il prete mi portò con sé a dare l’estrema unzione a un uomo che si era impiccato. Che viso può avere un morto, giovane, e per di più morto in quella maniera? A Don Vincenzo come si faceva a dire di no? Alla domenica dopo la messa nella chiesa piccola se ne faceva un’altra nella chiesa più grande. Noi ragazzi nella parte posteriore della chiesa, giocavamo a biglie o meglio a palline. La canonica e la chiesa erano adiacenti e Don Vincenzo facendo i due metri tra la porta della canonica e la porta della chiesa, ci avvertiva: "Guardate che tra mezz’ora inizia la messa. Mi raccomando tutti in chiesa". – "Si, si, Don Vincenzo non vi preoccupate". Noi speravamo di essercela cavata in quel modo. Ma un minuto prima dell’inizio della messa usciva fuori e ci costringeva a entrare. La sera, invece, alla Congrega, anche se dell’altra Confraternita, ci andavamo di nostra sponte. O almeno sapevamo che chi non vi partecipava non poteva entrare nella sala della Confraternita a guardare la TV o a giocare a carte e ping pong. Don Vincenzo aveva una 127 rossa. Anche lui. Solo che la sua era il modello più vecchio di quella di Vittorio. E un rosso meno acceso. Quando capitava che ci riportava da Vibo, sulla Panoramica, ci spiegava come bisognava tenere lo sterzo. "Come si tiene in formula uno". E quando era al massimo della velocità, si lamentava perché il motore della sua 127... “mi chiede la quinta”. Come diceva lui. Per la mia Confraternita i “cambius” erano conservati da compare Nicola e comare Angelina. Loro erano anche i sarti che li facevano su misura. Ma solo ai confratelli più importanti. La chiesa e le confraternite sono il posto in cui si rispettano le gerarchie più che in una caserma militare. Il giorno della processione ti presentavi in chiesa e compare Nicola ti guardava e sapeva già quale misura darti. Alcune mozzette avevano delle sigle all’interno, ma solo lui ne capiva il significato. In pochi tenevano il proprio cambius a casa. Quando venne l’età di cambiare taglia, comare Angelina disse al marito, compare Nicola: “A Pasquale dobbiamo fargli un cambius su misura. Non vorrai mica che un giorno faccia come suo zio Vito che ha cambiato confraternita perché se l’è presa?” Mio zio da “rosariante” era passato a “crucifissante” ed era diventato uno dei confratelli più ferventi di quella confraternita. Chi non ricorda quando domenica delle Palme arrivava con mezzo ulivo sulle spalle… “Quando puoi passa da casa nostra che ti facciamo un cambius nuovo e sarà sempre il tuo”. Dopo qualche processione un giorno arrivai tardi alla vestizione. E compare Nicola quando mi vide diventò bianco. Come il cambius. “E tu adesso arrivi?” – “Compare Nicola, ho fatto tardi, ma sono qui”. – “E adesso che cambius ti do?” – “Ma come? Io non ho il cambius personale, che mi avete fatto apposta?” – “Si, ma l’ho dato ad un altro perché ormai pensavo non venissi più…” Ci rimasi male come non mai. Partecipai a quella processione ma per me quella fu anche l’ultima.

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