02 settembre 2025

Il Circo. Quello vero

Alcuni anni dopo che un anonimo circo, per la prima volta, arrivò a San Nicola e che stazionò ‘supa a Micu de Lena’, arrivò a Pizzo Il Circo. Quello vero. Il circo Moira Orfei. Questo stazionava dalle parti dell’Isolabella e lì di spazio ce n'era. Non come ‘supa a Micu de Lena’ dove c’era un piccolo spiazzo in pendenza, dove molti di noi, per meritarci un biglietto di ingresso gratuito, abbiamo lavorato. Un po' per cercare di rendere meno gibboso il terreno e molto di più per rifornire d’acqua l’elefante che aveva più degli anni di tutti noi messi insieme. Un secchio a testa e andavamo lì vicino a prendere l’acqua. C’era una fontana di sorgiva o qualche ‘prisa’ che arrivava da qualche ‘gurna’. Tanto a quelle ‘prise’ ci bevevamo anche noi ogni volta che andavamo al campo sportivo oppure nell’intervallo delle partite. E chi ha mai visto acqua al campo sportivo? E Vittorio ogni volta doveva pagare le multe fatte dall’arbitro. L’acqua per l’anziano pachiderma non bastava mai e per noi era come cercare di riempire, con i secchi, il mare di Pizzo. Dove negli anni successivi arrivò Il Circo. Quello vero. E noi, al Circo, quello vero, potevamo fare a meno di andarci? Biglietti da guadagnarsi gratis, zero. Biglietti gratis da qualcun altro, meno che zero. Quella sera all’Isolabella ci sarebbe stato il mondo intero. E noi che finalmente avevamo una macchina e qualcuno che la guidasse potevamo starcene al paese a fare le solite cazzate? – Se non altro andremo a farle a Pizzo. - Per entrare gratis un modo o l’altro lo troveremo. - Arrivammo all’Isolabella e più che il mondo intero c’era la fine del mondo. Dopo la strada fatta a piedi per arrivarci, da dove avevamo lasciato la macchina, c’erano le transenne. Saranno state a una cinquantina di metri lontane dal tendone. In più c’erano le ronde fatte dagli inservienti del circo. Noi tutti appoggiati alle transenne a studiare il piano per infilarci, in qualche modo sotto il tendone del circo. Ormai lo spettacolo era incominciato. - Quello fa il giro così. Quell’altro lo fa da un’altra direzione. Quando saranno nel punto più lontano scavalchiamo, corriamo veloci e ci infiliamo dentro. - Si va bene però dobbiamo dividerci sennò ci prendono tutti. Chi riesce entra e si gode lo spettacolo chi non ci riuscirà andrà da Enrico a mangiarsi il gelato. Ma quello lo dovremo pagare. Almeno così la strada per arrivare all’Isolabella avrebbe avuto un certo senso. – Via, si parte.      - Dei razzi nel buio dell’Isolabella ma gli inservienti secondo me Moira, oltre ad addestrare gli uccelli, aveva addestrato anche loro. A correre dietro quelli come noi. E da quanto e come correvano penso che dopo, come premio, avrebbe ammaestrato anche i loro di uccelli. Infatti molti furono bloccati. Io riuscii ad infilarmi sotto il telone e ad arrampicarmi sui tubi Innocenti della tribunetta e trovarmi un posto. Ubaldo che era dietro di me lo bloccarono proprio mentre cercava di arrampicarsi. Altri riuscirono ad entrare in altri settori. Lo spettacolo ormai era arrivato a circa la metà della sua durata. Certo lo spettacolo era bello e divertente, ma io che ero da solo incominciavo a pensare come sarei tornato al paese di notte. Magari all’uscita incontrerò qualcuno che è riuscito a intrufolarsi come me. Ma si, faremo l’autostop. Infatti di lì a poco ero al paese. - A quei tempi andavamo ovunque con l’autostop. Dall’andare e tornare da Vibo. Dall’andare e tornare dalle partite sul campo sportivo. Qui ricordo che una volta al ritorno vidi che c’era il furgone parcheggiato di un personaggio noto. Avremmo avuto undici/dodici anni. Al che urlai ai miei compagni: - Jamuninde cu lu Sambiasinu. – E lui era proprio dietro di me. Pensai si fosse arrabbiato pechè lo avevo chiamato in quel modo. Invece lui disse subito: - Si belle mei. Venitivinde cu mia. - Sempre in autostop si andava nei paesi vicini per vedere giocare l’ARCI. Una domenica di dicembre, quando ancora non potevamo giocarci, l’ARCI giocava a Vazzano. - Dai che qualcuno che ci porta lo troviamo. - Arrivò Carmelo con la sua 127. Ma quante cavolo di 127 c’erano in quegli anni? Altro che le 500. - Dai salite che andiamo a Vazzano a vederci la partita. - Erano le tredici e trenta. - Andiamo da Filogaso. - Quando da Filogaso iniziò la discesa per Vazzano, Carmelo fa: – Adesso vi faccio vedere io come si guida. - Le gomme in quelle curve cominciarono a ‘fischiare’. Dai bocchettoni dell’aria entrava del fumo. Ma quello che sembrava fumo era polvere di cui era piena la macchina. – Carmelo per piacere vai piaaanooo. – E vi spagnati? Guardate che io guidavo il tram a Milano. – Abbiamo capito, Carmelo, che guidavi il tram, ma che cavolo c’entra il tram con la macchina? E poi potresti essere pure Niki Lauda ma ni spagnamu lu stesso. - Curiosità c’era, a quei tempi, uno della montagna che abitava in Svizzera che chiamavamo Niki Lauda.
 A dire il vero poi Carmelo negli anni successivi avrebbe guidato pure il camioncino della spazzatura. Quando, gli stessi ragazzi, facevamo qualche giornata di lavoro con il comune, come spazzini. Come per il Circo quel giorno non mi potei godere al meglio la partita. Dovevo trovarmi un passaggio per il ritorno. - Io con Carmelo non torno nemmeno se devo tornarmene a piedi. Oh che fortuna c’è Mastro Sino. A Mastro Sino me lo date un passaggio al ritorno? – Si, però io dopo la partita devo andare da mia zia a trovarla. Sono venuto apposta.            – Mastro Sino vi aspetto puru finu allu matinu. Basta no mu mi ‘nde torno cu Carmelo. - Diventò buio. Giù a dicembre al pomeriggio fa presto a diventare buio. - Di seree…nereee… - E io da solo Vazzano che aspettavo Mastro Sino. Che a una certa ora arrivò e finalmente facemmo ritorno al paese. Erano ormai le venti e prima sarei dovuto tornare a casa. Avevo degli orari fissi. Nel senso che durante la settimana c’erano l’orario di ritorno da scuola, con il pullman e l’orario della cena. Tra i due orari fissi, un po' studiavo. - È bravo ma non s’impegna. - Frase che tutti gli insegnanti ripetevano. Come se fosse nel programma scolastico. L’ avranno imparata da chissà chi. Il tempo restante lo passavo in piazza. Al sabato, invece, alla sera non c’era orario fisso per il ritorno a casa. Spesso si arrivava direttamente alla domenica. E in quella giornata a casa restavo solo a pranzo e a cena. Di sabato e domenica, tra l’altro, non c’erano studi che non fossero per palline o figurine. E in quella domenica quando arrivai a casa dissi a mia madre: - Sono tornato. Ma non ho fame, vado in piazza. - Come detto era dicembre. E nelle sere di dicembre andavamo sotto la sala dei gemelli Pasceri, dove una volta si facevano i ricevimenti dei matrimoni, a giocare a carte.
La matta.
 

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