25 maggio 2025

È passato il Giro

 

 
È passato il Giro. Il Giro e la Gira erano i soprannomi dei miei nonni materni. Oggi i ciclisti che partecipano al Giro li chiamano i “Girini”. Come le future rane. Anche se noi da bambini li chiamavamo Cucchiarinejre(Cucchiarinelle). Sin da piccolo seguivo il ciclismo. Anche se non ho mai avuto una bicicletta. Nemmeno una "Graziella". Sono cresciuto con il dualismo Moser/Saronni.
 Io ero per Saronni. Addirittura affibbiai il nome Saronni a un amico di infanzia. Si chiama Saro come Fiorello e da lì divento Saronni. Indimenticabili alcuni nomi. Tipo Urs Freuler, Paolo Rosola. Ricordo De Zan che sparava a caso i nomi di quelli che attraversavano il traguardo. In Calabria era difficile, per me, vederne il passaggio. Quelle volte, ogni morte di Papa, in cui passava. Una volta riuscii a vederlo a Vibo Valentia. Per fortuna era di mattina e non andammo a scuola per andare a vedere passare il Giro. Presso l’Hotel 501. Posto rinomato nel bene e nel male.
 Negli anni novanta in Veneto quando si parlava di ciclismo veniva fuori, sempre, il nome di Coppolillo, unico calabrese al giro. Un mio collega era un ciclista da scalate dei passi alpini. Una domenica, due gennaio, ricordo ancora bene, con una temperatura di meno dieci gradi centigradi arrivò pedalando, con la sua bici da corsa. Da casa sua.
Distava quaranta chilometri. 
Qui dove vivo adesso, capita spesso di assistere al passaggio del Giro d'Italia. Ancor di più dopo la tragica morte di Davide Rebellin, perché come è successo ora è passato davanti alla casa dove abitava. Da più di 30 anni che ci abito vicino. Un bel posto. Che quando mi chiedono dove abito dico sempre: “In un posto della Madonna”. Difatti il quartiere si chiama Madonna e anche la via dove abitavamo prima si chiama Via Madonna. 
All’epoca il Rebellin famoso non era Davide ma suo padre. Gedeone. Aveva un piccolo market. Oggi trasformato in un bar tabacchi. Il giorno dell'incidente sono passato a una rotonda di fianco al suo cadavere. Un’autoambulanza, un lenzuolo verde e una bici accartocciata. Boh chissà chi era... Seppi la sera che era lui. 
Addirittura ai tornei di calcetto c’era una squadra che si chiamava “Gli amici di Rebellin”. Noi avevamo una squadra di cui la maggior parte erano cinquantenni. Ma eravamo tosti da battere. Anzi battevamo tutti. Finché in semifinale giocammo contro di loro e dopo venti minuti eravamo 3 a 0 per noi. Mio cognato Raffaele era in uno stato di grazia anche se arrivava prima la pancia e poi lui. 3 gol alla Romario. Mai visto giocare di fianco a me un giocatore così forte. E ho giocato anche con persone che avevano giocato nel Vicenza e in serie C. Da cui ho imparato molto. Anche se ormai erano passati gli anni in cui si apprende meglio. Che vuoi imparare a giocare con allenatori che non sanno nulla né di come si gioca a calcio, né di tecnica, né di niente. Comunque la partita, ben presto, finì in rissa. Il portiere non ne poteva più di farsi trattare da birillo da “Romario” e lo prese per il collo. Quindi volarono calci e pugni. Pochi fortunatamente. 
Negli anni novanta mi capitava spesso di incontrare Bruno Cenghialta e Fabio Baldato. Con cui si scherzava. Un giorno dissi a Baldato: “Adesso devo chiederti una cosa. Però devi essere sincero!” Lui mi guardo male. Avrà pensato questo mi chiede se mi dopo. Basta poco per capire come sono fatto. “Tu una volta hai vinto in volata a Parigi buttandoti nella mischia come un matto. Sarà che adesso hai famiglia e non lo fai più?” – “Si è vero solo da giovani si fanno le pazzie”.
 Per quanto riguarda il doping iniziai a non seguire più il giro, da tifoso, da quando anche i miei beniamini venivano beccati per ematocrito alto. Chiaro segnale di doping. Della cosa poi mi assicurò un ragazzo, del posto, che doveva passare ai professionisti. 
Disse che aveva rinunciato al professionismo in quanto gli avevano prospettato la storia delle trasfusioni. Oggi vende le biciclette. La passione rimane.
 Come per me. Quando abitavamo in via Madonna lavoravamo per la Campagnolo. E con i Girini, il Giro, le bici e le squadre dei corridori, avevamo molto a che fare. Tornò la passione. Ma più che per i ciclisti era per le bici. Raggi, mozzi, cambi, telai, pedali. Per i raggi ci toccava andare in Belgio a prenderli. I pedali in carbonio arrivavano dagli Stati Uniti a Verona. E appena sdoganati li portavamo in sede. 
Spesso andavamo dai produttori di bici, nelle sedi delle squadre o nelle loro officine. Mercatone Uno, Saeco, Bianchi, De Rosa, Cantine Caldiroli, Willer. Alla Mercatone Uno c’era Marco Pantani. Anche se, alla sua bici, dovevano cambiare una rondella. Dovevamo andare a Imola a prenderla e poi riportargliela. Un giorno, con mio nipote Antonio, che ancora arrivava giusto ai pedali. Ci fermammo all'Autogrill e ci facemmo i giri sulla sua bici. Il sellino, con il pirata ricamato, era top. Anche se a me Pantani non è mai piaciuto. Ma spesso lavoravamo per lui. 
Con l'altro nipote Francesco siamo stati un giorno intero a Vicenza quando ci fu la partenza di una cronometro. 
 Molte altre volte prendevamo delle bici per portarle alle fiere in Italia e all’estero. Una volta portammo le bici di Ulrich e di Vainšteins, campione del mondo in carica, alla fiera di Colonia. Un blocco di bici Saeco, tra cui quella di Cipollini, in Campagnolo. 
Ormai eravamo conosciuti dai meccanici delle squadre.
 In quegli anni c’erano molti ciclisti forti. Anche italiani. 
Adesso guardi il Giro solo per i paesaggi mozzafiato. Che vedi grazie all’elicottero. 
Non c’è nessun big e nessuna lotta avvincente Tra i corridori. Quest’anno l’unico big poteva essere Pogacar.
Ma il Giro, gira e rigira, non ha mai avuto il fascino del Tour.

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