29 agosto 2022

Il Mostro

Il Mostro

 È proprio vero, la nostra memoria è come un’immensa cassettiera interconnessa. In ogni cassetto un ricordo. Quando apri un cassetto automaticamente se ne apre un altro connesso al precedente. Sappiamo cosa ci sia in quei cassetti ma alle volte frugando dentro quei cassetti, vengono fuori delle cose che ormai si pensava fossero state cancellate dall’hard disk. Ma, come ben sappiamo oggi, dall’hard disk molti file possono essere recuperati, da alcuni programmi in questo caso da stati d’animo o da situazioni che molto somigliano a quelle che si credevano cancellate. Infatti raccontando degli anni in cui eravamo distratti, quelli in cui vivevamo con quell’insostenibile leggerezza dell’essere, mi è tornato in mente che il nostro amico maggiorenne, non solo guidava la macchina di suo padre ma anche quella del fratello. Entrambe FIAT 131. Non sono mai salito su un'auto più comoda della 131. Quando ti sedevi dietro era come sul pullman quando ti sedevi ai posti in fondo, nella parte centrale del corridoio. Le 131 erano una verde, quella del padre, e una con un colore strano, una specie di rosso/fucsia del fratello più grande. Quest’ultima 131 la chiamavamo il “Mostro”. Forse per come era ridotta e per come si “comportava”. Infatti un giorno mentre andavamo al mare nei tornanti, che ci portavano giù dalla collina, quando si girava a destra iniziava a suonare il clacson fino a quando lo sterzo non girava nella direzione opposta. Quando si era in rettilineo o si girava a sinistra nessun “comportamento” strano. Quel giorno dopo il mare, al ritorno, invece di andare alla gelateria “Enrico”, come spesso capitava, andammo più in là de La Murena, verso Pizzo, che solitamente frequentavano le sere d’inverno in cerca di qualche pizzeria. Arrivati nel centro abitato c’erano i vigili. Ma la strada era dritta quindi nessun problema. Quando il vigile decise di fermarci e a dire ad Attilio “parcheggia sulla destra” il mostro iniziò a strombazzare all’impazzata. “Che cavolo suoni?” – “Non sono io è la macchina”. Scende alza il cofano e stacca qualche filo per tacitare il Mostro. Una sera andammo a una pizzeria verso Serra sempre con il Mostro. Era inverno. In quegli anni era divenuta una zona poco raccomandabile con un sacco di attentati e altre brutte storie. Infatti era stato mandato l’esercito. E a un bivio che portava a Serra c’era un posto di blocco h24. Essendo una zona fredda la sera e la notte avevano un falò sempre acceso. Quella sera ci fermarono e controllarono lo stato del Mostro e il suo contenuto. Come avrete capito lo stato del Mostro era pessimo e al suo interno c’erano anche delle cose che il nostro amico, come tutti, si era portato via da militare. Uno di loro disse: “Andatevene via subito e non fatevi più vedere da queste parti, sennò vi sequestriamo la macchina”. Veramente si chiama Mostro... Solo che al ritorno dovevamo ripassare da lì. Al ritorno un cenno: “Siamo sempre noi”. Come detto, lui era più grande di noi ma aveva un fratello della mia età, abitavamo vicini.Il fratello in quegli anni aveva un’altra compagnia, mentre la nostra, di compagnia, si rinsaldò ancor di più quando si fidanzò con la sorella di un altro nostro amico. Di suo padre ancora ricordo il fischio. Da bambini alla sera, quando era ora di cenare o di rincasare, si sentiva quel fischio. E i due fratelli non esitavano un secondo a salutarci e a tornare a casa. Con lui, i suoi fratelli e suo padre si vendemmiava e dalla sera di San Martino si cominciava a consumare quel vino. Una sera, proprio a San Martino, in 5 ne bevemmo 15 litri. Lo so bene perché riempivamo una damigiana da 5 litri direttamente dalla botte. Un 25 aprile c’era un caldo asfissiante. Oggi si sarebbe data la colpa al cambiamento climatico. Avevamo deciso di andare al mare. Ma c’era qualche lavoretto da fare e quindi aveva bisogno di aiuto. Allora decidemmo di andarci al primo maggio. Tanto sarà caldo anche quel giorno, pensammo. Al primo maggio andammo al mare ma c’era un freddo cane. Ma ormai era d’obbligo farsi il bagno. Prendiamoci questa botta di freddo e poi torniamo a casa. Quell’estate ci portava spesso al mare anche perché ci andava la fidanzata con i parenti francesi e noi dietro a lei. Prima di lei, ancora quando era militare, sempre al mare, si era invaghito di una ragazza a cui chiese l’indirizzo promettendole che le avrebbe mandato una cartolina da dove era militare. “Va bene” disse lei, “Però sulla cartolina non ti firmare con un nome da maschio. Firmati Attilia, così so che sei tu”. Il posto dove vendemmiavamo e dove festeggiavamo era sulla strada che portava al mare. Un giorno passò la fidanzata che come quasi tutti i giorni, per un paio di settimane, andava al mare con i parenti francesi. Tra loro c'era una ragazza, un po’ più piccola di me, carinissima, che la volta prima, sempre al mare, avevo conosciuto. Si fermarono con la macchina e dissero: “Vi aspettiamo al mare”. Ma il giorno prima avevano mezzo litigato e lui era poco propenso ad andarci. E io dentro di me ripetevo: “E andiamo, e andiamo”. Niente, non ci andammo. Così la francesina

 

la vidi, penso, solo un'altra volta da grande e non sono neppure sicuro che fosse lei. I fidanzatini si sposarono lui ci invitava sempre a mangiare a casa loro. Ancora oggi lo fa. La sua trippa e patate non ha eguali. Ma quando c’era qualche lavoro da fare ci chiamava sempre in aiuto. Quando comprò una casa in cui non ci viveva più nessuno iniziò a rifare quasi tutto quello che c’era. Lui era muratore e come manovali c’erano sempre “gli amici”. Io in quegli anni non c’ero più, ero già “emigrato”. Ma il tutto mi veniva raccontato. Alla fine dei lavori dopo il trasloco, organizzò una grande serata, con il vino fatto in casa, ma non più fatto da noi. Quella sera a loro dire non c’era più nemmeno una persona sobria e ne fecero di ogni. Fatto sta che io arrivai il lunedì dopo quel sabato con la S maiuscola. A noi bastava poco. Bastava che succedesse qualcosa di cui in futuro ne avremmo parlato e che ci avrebbe fatto sorridere. “E che facciamo? Adesso è arrivato Pasquale dobbiamo rifare la stessa serata. Tutti rinvitati per sabato sera”. Ma come si sa le cose non vanno mai nella stessa maniera. Anche se si fa di tutto per riuscirci.  Di certo anche quella sera di sobrio non rimase nessuno. Però bisognava trovare un diversivo per rendere anche quel sabato con la S maiuscola. Allora Jonny, senza dire a nessuno cosa avesse in mente di fare, disse: “Salite in macchina, tutti quelli che ci state”. Partì sgommando verso la guardia medica, premendo di continuo il clacson. La sua R4 non era mica il Mostro. Arrivati davanti alla guardia medica gli chiesero: “Cosa è successo?” - “Chiamate la dottoressa che c’è Pasquale che sta male”. La dottoressa uscì di corsa, infilò la testa nello sportello già aperto e domandò: “Che cosa hai?”.  – “Io, a dire il vero niente.”                                                                                                                                                       Oggi quel Jonny è parroco

 


Nessun commento:

Posta un commento

 
; ;