24 marzo 2013

Settimana bianca a Roma




Molti si saranno chiesti, oppure se lo staranno chiedendo in questo momento, se sia mai possibile trascorrere una settimana bianca nella città eterna. Eppure per qualcuno, forse, fu possibile. L'occasione propizia per poter, magari, coronare il sogno di una vita, non fu la nevicata del '56, come qualcun altro giustamente potrebbe pensare, bensì l'occasione, come dicevo, propizia per quel qualcuno si presentò allor quando a Roma si tenne una manifestazione nazionale per il lavoro. Era la metà degli anni '80. Anni nei quali questo tipo di manifestazioni erano di moda. Eravamo nel pieno degli anni di fango. A quei tempi non c'erano, come adesso, distinzioni tra centrodestra e centrosinistra. La magna magna al governo era generale. Erano gli anni dei governi del pentapartito. All' opposizione c'era invece la vera sinistra di un tempo, che era quasi tutta concentrata nel grande partito comunista del compianto Enrico Berlinguer. Partito che veniva da un 30% di voti ottenuto alle elezioni europee. La manifestazione per il lavoro era organizzata dalla confederazione sindacale C.G.I.L. , C.I.S.L. , U.I.L. . Per il nostro paese era organizzata dai soliti noti, Francu Tete, Alfredo, Ntone lu cecatu ed altri, magari meno noti di questi. Da notare che, naturalmente, il viaggio verso la capitale era gratuito, o meglio il tutto era a spese della confederazione sindacale. Nessuno, anche qui naturalmente, aveva nulla da ridire su queste spese. Cosa che invece fu rinfacciata al Berlusca quando lo stesso organizzò a spese del suo partito e dei partiti alleati una manifestazione nazionale contro il governo. Avete mai visto voi una manifestazione a spese dei manifestanti e non a spese di organizzazioni sindacali o di qual si voglia altra associazione? Vedremo più avanti come andò quel viaggio, gratuito, verso la capitale. Comunque, era quella manifestazione che offriva anche a noi la possibilità, oltre che a quel qualcuno di trascorrere la sua settimana bianca, di andarcene a Roma per un giorno, un sabato, gratuitamente. Naturalmente non per manifestare, ma per passare un sabato diverso. Un sabato nuovo. Per di più a gratis. Sapemmo della manifestazione, e quindi del viaggio, solamente il giorno prima. Quindi non ci fu molto tempo, a nostra, ed altrui, disposizione, per poter decidere tranquillamente sul da farsi. C'era un pullman da riempire. E che pullman. Il nostro gruppo nel gruppo si compose da subito da me, Bruno G. e Nazzareno P, assidui frequentatori della sezione paesana del P.C.I. . A noi si aggiunsero Pasquale M. e Nicola M.. Però volevamo infoltire ancor di più quel gruppo nel gruppo, che da lì a poco sarebbe andato ad unirsi a un gruppo immenso, gruppo di circa un milione di manifestanti, nonostante la questura. Anche se questo come ho già detto non era nelle nostre intenzioni. Passammo il pomeriggio a cercare, in piazza, qualche altro "compagno" da unire alla piccola comitiva. E qualche altro passeggero di quel pullman sgangherato. Nessuno era disposto a venire. Mancavano poche ore alla partenza. E c'era anche la scuola il giorno dopo. Niente da fare. Nessuno si voleva unire a quel piccolo gruppo di manifestanti. Fu così finché, davanti al tabacchino, non passò "Colaccinu". Al secolo Nicola F.. Il quale era sempre indaffarato con i suoi lavori. E non era uno che frequentava la piazza. Quel giorno a quell'ora passò con la sua vespo. Ed il destino volle che si imbattesse in noi, che non avevamo il suo da fare. Colaccinu era uno che nella gioventù ne aveva combinate delle sue. Dal bersi la candeggina pensando fosse acqua, all'ustionarsi il volto con della benzina. Si racconta che quel fatto successe perché accese l'accendino in prossimità del serbatoio della sua vespa, per vedere quanta miscela ci fosse dentro. Forse questa era solo una leggenda. Non era leggenda, invece, il fatto che avesse la faccia tutta nera per via di quell'ustione. All'arrivo di Colaccinu, così come per ogni altro passante in quel venerdì pomeriggio, la domanda fu: "A Nicola ti nda vene a Roma?". Dopo un po' di spiegazioni su come ci si doveva arrivare e su quello che dovevamo, almeno sulla carta, andare a farci, Nicola esclamò: "Quasi quasi mi nda vegno. E si vegno mi spagnu ca mi la fazzu la settimana bianca" (Quasi,Quasi vengo anche io. E se vengo ho paura che mi faccio la settimana bianca). Datemi un po' di tempo che mi organizzo e poi vi saprò dire con precisione, disse. Si partiva, da sutta a "Ndon Titta", alla mezzanotte, per arrivare a Roma in mattinata. Lì, Colaccinu si presentò con sulle spalle un grandissimo scatolone che sembrava un baule. In quel momento cominciavamo a credere veramente alle sue parole. E cioè che si sarebbe fatto, davvero, una settimana a Roma. Evidentemente, visto che doveva essere una settimana bianca, dentro aveva scarponi e salopette, piuttosto che gli sci. Ci sarebbero potuti entrare, da quanto era grande quel bagaglio. Bagaglio legato con lo spago, come nelle migliori tradizioni. A Colaccinu mancava solo il colbacco. Ma poi avrebbe imitato troppo Totò e Peppino de "La malafemmina" e lui era un tipo originalissimo. Da notare che quella settimana che doveva essere, nelle sue intenzioni, bianca, era una settimana di fine maggio. Comunque partimmo alla volta di Roma. Il viaggio fu uno strazio. In autostrada venivamo puntualmente sorpassati da pullman gran lusso, con tanto di aria forzata, a quei tempi andava di moda questo termine, che avevano la stessa nostra meta. Mentre noi, al massimo, nonostante fosse quasi estate, potevamo permetterci una stufa. Stufa che, quelli che sedevamo nella parte posteriore del pullman, avevamo sotto i piedi. La stufa era il motore di quel vecchio trabiccolo. E ogni tot di chilometri bisognava fermarsi, in qualche piazzola piuttosto che in qualche autogrill, per fare in modo che la stufa si raffreddasse un po'. Nella parte posteriore del pullman solitamente si sedevano i casinisti. Ed in quella parte posteriore erano seduti anche i componenti di un altro gruppo nel gruppo, anche loro casinisti, che era composto, fra gli altri, da Claudio Bajuni, Vitu Bettega e Vitu de Maria Gnau. Loro ebbero la splendida idea, per loro ma anche per tutti gli altri, di portare un sacco, quelli di carta della farina, pieno di rosette. Il sacco pieno se lo erano procurato poco prima, a loro spese e non della confederazione sindacale, naturalmente, al panificio, che a quei tempi funzionava "alla papa" e dove ci lavorava anche il "nostro" Pittis. Fu quella la trovata, insieme a "chilati" di affettati vari, che allietò il viaggio verso la capitale. Capitale in cui arrivammo la mattina seguente, verso le otto e trenta. Qui iniziarono le prime schermaglie, attraverso i finestrini, con i passanti, per le vie di Roma. Neanche fosse stata una trasferta calcistica. Scendemmo dal pullman davanti alla stazione Termini. E lì ci venne indicata la piazza dove ci saremmo dovuti ritrovare, verso le quattordici e trenta, per il ritorno a casa. Ritorno a casa, che visto il pullman e visto che nessuno di noi conosceva Roma, non era poi così tanto scontato. Il gruppo nel gruppo degli organizzatori paesani si incamminò verso il posto dal quale prendeva inizio il corteo dei manifestanti. Il gruppo nel gruppo degli altri casinisti non vidi per dove si diresse. Il nostro gruppo nel gruppo aveva appuntamento, davanti alla stazione Termini, con la sorella di Nicola M. che in quel periodo studiava a Roma all' università. Colaccinu, che faceva gruppo a sé, lo vidi indirizzarsi per non so bene dove, in mezzo a tutto quel traffico, con sulle spalle quel suo bagaglio, che per come lo portava doveva essere bello pesante. Il contenuto, oltre che pesante, doveva essere molto importante. Sparì nel nulla. Anzi nel "molto" della Roma che ci trovavamo davanti. Luci, colori, semafori, cartelloni pubblicitari, suoni, grida, clacson, sirene, macchine, pullman, taxi, barboni, lavavetri, accattoni, poliziotti e naturalmente manifestanti. Nel frattempo arrivò la sorella di Nicola insieme al suo ragazzo. La quale, per la paura di quello che avremmo potuto combinare o che ci fosse potuto accadere per le vie di Roma, ci disse che a Roma, visto che ci sarebbe stata la manifestazione, quel giorno, sarebbe rimasto tutto fermo. Dai pullman alla metropolitana ad ogni sorta di mezzo pubblico di trasporto. E ci esortava a prendere parte alla manifestazione insieme al gruppo organizzatore paesano. Naturalmente noi dubitavamo delle sue parole, ma la invitammo ad andar via tranquilla in quanto saremmo andati alla manifestazione. Da lì allo scendere sotto la metropolitana la strada fu breve. Penso che ci facemmo tutte le fermate che era possibile fare, tra le due linee della metropolitana, per quel che riguardava il centro di Roma, in quel lasso di tempo, che avevamo a nostra disposizione. Ove era possibile scavalcavamo i tornelli, che oggi sono diventati famosi per gli stadi sicuri, per non pagare il biglietto. Nella metropolitana così come per le vie della Roma antica ne vedemmo di tutti i colori. Ma per quanto giovani eravamo sicuri. Tranquilli, non tanto. Come quando in metropolitana Nicola M. fece capire a tutti noi, e ad alcuni brutti ceffi, quanto fosse sicuro di se. Tenendo il portafoglio stretto in mano attraverso la tasca dei pantaloni disse: "lu partafogghio no cazzu mi lu futtenu" (Il portafogli non me lo fregano). La mattinata ci volò via. Arrivarono presto le tredici e trenta e c'era da trovare la piazza, Ragusa, penso di ricordare bene, dove avremmo dovuto ritrovarci e dove avremmo dovuto essere per le quattordici e trenta. A quell'ora in quella piazza ci ritrovammo tutti, quelli che eravamo partiti. Tranne uno. Colaccinu. Lui mancava all'appello. Era proprio vera l'intenzione di farsi la settimana bianca. Lo vedemmo dopo un po' di tempo in piazza davanti al solito tabacchino dove ci disse che era rimasto a casa del fratello. Che in quegli anni viveva a Roma. In ogni caso rimane ancora oggi il mistero di cosa, quel giorno, portò a Roma in quel grandissimo scatolone, tanto da somigliare ad un baule, legato con lo spago. Se davvero dentro ci fosse tutta l'attrezzatura per la settimana bianca, oppure ogni ben di dio, tra suppressati, satizzi, pane, vinu,ojjo, olivi scacciati, zziriminguli, pruppuna, frittuli, ndujra, boccolari, pumadora calijati, ascadi, castagni, nuci, nucijri, e li pasticcini sicchi, fatti da Scaturchio, che non possono mai mancare. Si, in quel grandissimo scatolone poteva starci tranquillamente, anche, tutto questo. Se Colaccinu trascorse la sua tanto sospirata settimana bianca in quel di Roma e coronò, in quel modo, il suo sogno, rimane a tutt'oggi, insieme al contenuto del suo "pacco", un mistero.

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