Molti si saranno chiesti,
oppure se lo staranno chiedendo in questo momento, se sia mai possibile
trascorrere una settimana bianca nella città eterna. Eppure per
qualcuno, forse, fu possibile. L'occasione propizia per poter, magari,
coronare il sogno di una vita, non fu la nevicata del '56, come
qualcun altro giustamente potrebbe pensare, bensì l'occasione, come
dicevo, propizia per quel qualcuno si presentò allor quando a Roma
si tenne una manifestazione nazionale per il lavoro. Era la metà
degli anni '80. Anni nei quali questo tipo di manifestazioni erano
di moda. Eravamo nel pieno degli anni di fango. A quei tempi non
c'erano, come adesso, distinzioni tra centrodestra e centrosinistra.
La magna magna al governo era generale. Erano gli anni dei governi
del pentapartito. All' opposizione c'era invece la vera sinistra
di un tempo, che era quasi tutta concentrata nel grande partito
comunista del compianto Enrico Berlinguer. Partito che veniva da
un 30% di voti ottenuto alle elezioni europee. La manifestazione
per il lavoro era organizzata dalla confederazione sindacale C.G.I.L.
, C.I.S.L. , U.I.L. . Per il nostro paese era organizzata dai soliti
noti, Francu Tete, Alfredo, Ntone lu cecatu ed altri, magari meno
noti di questi. Da notare che, naturalmente, il viaggio verso la
capitale era gratuito, o meglio il tutto era a spese della confederazione
sindacale. Nessuno, anche qui naturalmente, aveva nulla da ridire
su queste spese. Cosa che invece fu rinfacciata al Berlusca quando
lo stesso organizzò a spese del suo partito e dei partiti alleati
una manifestazione nazionale contro il governo. Avete mai visto
voi una manifestazione a spese dei manifestanti e non a spese di
organizzazioni sindacali o di qual si voglia altra associazione?
Vedremo più avanti come andò quel viaggio, gratuito, verso la capitale.
Comunque, era quella manifestazione che offriva anche a noi la possibilità,
oltre che a quel qualcuno di trascorrere la sua settimana bianca,
di andarcene a Roma per un giorno, un sabato, gratuitamente. Naturalmente
non per manifestare, ma per passare un sabato diverso. Un sabato
nuovo. Per di più a gratis. Sapemmo della manifestazione, e quindi
del viaggio, solamente il giorno prima. Quindi non ci fu molto tempo,
a nostra, ed altrui, disposizione, per poter decidere tranquillamente
sul da farsi. C'era un pullman da riempire. E che pullman. Il nostro
gruppo nel gruppo si compose da subito da me, Bruno G. e Nazzareno
P, assidui frequentatori della sezione paesana del P.C.I.
. A noi si aggiunsero Pasquale M. e Nicola M.. Però volevamo
infoltire ancor di più quel gruppo nel gruppo, che da lì a poco
sarebbe andato ad unirsi a un gruppo immenso, gruppo di circa un
milione di manifestanti, nonostante la questura. Anche se questo
come ho già detto non era nelle nostre intenzioni. Passammo il pomeriggio
a cercare, in piazza, qualche altro "compagno" da unire alla piccola
comitiva. E qualche altro passeggero di quel pullman sgangherato.
Nessuno era disposto a venire. Mancavano poche ore alla partenza.
E c'era anche la scuola il giorno dopo. Niente da fare. Nessuno
si voleva unire a quel piccolo gruppo di manifestanti. Fu così finché,
davanti al tabacchino, non passò "Colaccinu". Al secolo Nicola F..
Il quale era sempre indaffarato con i suoi lavori. E non era uno
che frequentava la piazza. Quel giorno
a quell'ora passò con la sua vespo. Ed il destino volle che si
imbattesse in noi, che non avevamo il suo da fare. Colaccinu era
uno che nella gioventù ne aveva combinate delle sue. Dal bersi la
candeggina pensando fosse acqua, all'ustionarsi il volto con della
benzina. Si racconta che quel fatto successe perché accese l'accendino
in prossimità del serbatoio della sua vespa, per vedere quanta miscela
ci fosse dentro. Forse questa era solo una leggenda. Non era leggenda,
invece, il fatto che avesse la faccia tutta nera per via di quell'ustione.
All'arrivo di Colaccinu, così come per ogni altro passante in quel
venerdì pomeriggio, la domanda fu: "A Nicola ti nda vene a Roma?".
Dopo un po' di spiegazioni su come ci si doveva arrivare e su quello
che dovevamo, almeno sulla carta, andare a farci, Nicola esclamò:
"Quasi quasi mi nda vegno. E si vegno mi spagnu ca mi la fazzu la
settimana bianca" (Quasi,Quasi vengo anche io. E se vengo ho paura che mi faccio la settimana bianca). Datemi un po' di tempo che mi organizzo e poi
vi saprò dire con precisione, disse. Si partiva, da sutta a "Ndon
Titta", alla mezzanotte, per arrivare a Roma in mattinata. Lì, Colaccinu
si presentò con sulle spalle un grandissimo scatolone che sembrava
un baule. In quel momento cominciavamo a credere veramente alle
sue parole. E cioè che si sarebbe fatto, davvero, una settimana
a Roma. Evidentemente, visto che doveva essere una settimana bianca,
dentro aveva scarponi e salopette, piuttosto che gli sci. Ci sarebbero
potuti entrare, da quanto era grande quel bagaglio. Bagaglio legato
con lo spago, come nelle migliori tradizioni. A Colaccinu mancava
solo il colbacco. Ma poi avrebbe imitato troppo Totò e Peppino de
"La malafemmina" e lui era un tipo originalissimo. Da notare che
quella settimana che doveva essere, nelle sue intenzioni, bianca,
era una settimana di fine maggio. Comunque partimmo alla volta di
Roma. Il viaggio fu uno strazio. In autostrada venivamo puntualmente
sorpassati da pullman gran lusso, con tanto di aria forzata, a quei
tempi andava di moda questo termine, che avevano la stessa nostra
meta. Mentre noi, al massimo, nonostante fosse quasi estate, potevamo
permetterci una stufa. Stufa che, quelli che sedevamo nella parte
posteriore del pullman, avevamo sotto i piedi. La stufa era il motore
di quel vecchio trabiccolo. E ogni tot di chilometri bisognava fermarsi,
in qualche piazzola piuttosto che in qualche autogrill, per fare
in modo che la stufa si raffreddasse un po'. Nella parte posteriore
del pullman solitamente si sedevano i casinisti. Ed in quella parte
posteriore erano seduti anche i componenti di un altro gruppo nel
gruppo, anche loro casinisti, che era composto, fra gli altri, da
Claudio Bajuni, Vitu Bettega e Vitu de Maria Gnau. Loro ebbero la
splendida idea, per loro ma anche per tutti gli altri, di portare
un sacco, quelli di carta della farina, pieno di rosette. Il sacco
pieno se lo erano procurato poco prima, a loro spese e non della
confederazione sindacale, naturalmente, al panificio, che a quei
tempi funzionava "alla papa" e dove ci lavorava anche il "nostro" Pittis. Fu quella la trovata, insieme a "chilati" di affettati
vari, che allietò il viaggio verso la capitale. Capitale in cui
arrivammo la mattina seguente, verso le otto e trenta. Qui iniziarono
le prime schermaglie, attraverso i finestrini, con i passanti, per
le vie di Roma. Neanche fosse stata una trasferta calcistica. Scendemmo
dal pullman davanti alla stazione Termini. E lì ci venne indicata
la piazza dove ci saremmo dovuti ritrovare, verso le quattordici
e trenta, per il ritorno a casa. Ritorno a casa, che visto il pullman
e visto che nessuno di noi conosceva Roma, non era poi così tanto
scontato. Il gruppo nel gruppo degli organizzatori paesani si incamminò
verso il posto dal quale prendeva inizio il corteo dei manifestanti.
Il gruppo nel gruppo degli altri casinisti non vidi per dove si
diresse. Il nostro gruppo nel gruppo aveva appuntamento, davanti
alla stazione Termini, con la sorella di Nicola M. che in
quel periodo studiava a Roma all' università. Colaccinu, che faceva
gruppo a sé, lo vidi indirizzarsi per non so bene dove, in mezzo
a tutto quel traffico, con sulle spalle quel suo bagaglio, che per
come lo portava doveva essere bello pesante. Il contenuto, oltre
che pesante, doveva essere molto importante. Sparì nel nulla. Anzi
nel "molto" della Roma che ci trovavamo davanti. Luci, colori, semafori,
cartelloni pubblicitari, suoni, grida, clacson, sirene, macchine,
pullman, taxi, barboni, lavavetri, accattoni, poliziotti e naturalmente
manifestanti. Nel frattempo arrivò la sorella di Nicola insieme al suo ragazzo. La quale, per la paura di quello che avremmo
potuto combinare o che ci fosse potuto accadere per le vie di Roma,
ci disse che a Roma, visto che ci sarebbe stata la manifestazione,
quel giorno, sarebbe rimasto tutto fermo. Dai pullman alla metropolitana
ad ogni sorta di mezzo pubblico di trasporto. E ci esortava a prendere
parte alla manifestazione insieme al gruppo organizzatore paesano.
Naturalmente noi dubitavamo delle sue parole, ma la invitammo ad
andar via tranquilla in quanto saremmo andati alla manifestazione.
Da lì allo scendere sotto la metropolitana la strada fu breve. Penso
che ci facemmo tutte le fermate che era possibile fare, tra le due
linee della metropolitana, per quel che riguardava il centro di
Roma, in quel lasso di tempo, che avevamo a nostra disposizione.
Ove era possibile scavalcavamo i tornelli, che oggi sono diventati
famosi per gli stadi sicuri, per non pagare il biglietto. Nella
metropolitana così come per le vie della Roma antica ne vedemmo
di tutti i colori. Ma per quanto giovani eravamo sicuri. Tranquilli,
non tanto. Come quando in metropolitana Nicola M. fece capire
a tutti noi, e ad alcuni brutti ceffi, quanto fosse sicuro di se.
Tenendo il portafoglio stretto in mano attraverso la tasca dei pantaloni
disse: "lu partafogghio no cazzu mi lu futtenu" (Il portafogli non me lo fregano). La mattinata ci
volò via. Arrivarono presto le tredici e trenta e c'era da trovare
la piazza, Ragusa, penso di ricordare bene, dove avremmo dovuto
ritrovarci e dove avremmo dovuto essere per le quattordici e trenta.
A quell'ora in quella piazza ci ritrovammo tutti, quelli che eravamo
partiti. Tranne uno. Colaccinu. Lui mancava all'appello. Era proprio
vera l'intenzione di farsi la settimana bianca. Lo vedemmo dopo
un po' di tempo in piazza davanti al solito tabacchino dove ci disse
che era rimasto a casa del fratello. Che in quegli anni viveva a
Roma. In ogni caso rimane ancora oggi il mistero di cosa, quel giorno,
portò a Roma in quel grandissimo scatolone, tanto da somigliare
ad un baule, legato con lo spago. Se davvero dentro ci fosse tutta
l'attrezzatura per la settimana bianca, oppure ogni ben di dio,
tra suppressati, satizzi, pane, vinu,ojjo, olivi scacciati, zziriminguli,
pruppuna, frittuli, ndujra, boccolari, pumadora calijati, ascadi,
castagni, nuci, nucijri, e li pasticcini sicchi, fatti da Scaturchio,
che non possono mai mancare. Si, in quel grandissimo scatolone poteva
starci tranquillamente, anche, tutto questo. Se Colaccinu trascorse
la sua tanto sospirata settimana bianca in quel di Roma e coronò,
in quel modo, il suo sogno, rimane a tutt'oggi, insieme al contenuto
del suo "pacco", un mistero.
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