18 novembre 2022

San Martino all'Abate

 
L’Abati (Abate) è un toponimo di una zona del paese fuori dal centro abitato. Un “avamposto” del paese di San Nicola. Difatti c’è una Cona votiva. Cona deriva dal bizantino con il significato di “immagine” o “icona”. È una cappella votiva in cui appunto c’è un altare con un’immagine o una piccola statua. In questo caso quella di San Nicola da Myra. Da cui il toponimo “Abati”. Da qui per passare oltre il torrente Fellà si deve passare su di un ponte. Ponte che durante la seconda guerra mondiale venne bombardato mentre il centro abitato non venne mai colpito, come avviene spesso nelle guerre. Ma da lì nacque la leggenda, secondo la quale San Nicola avesse coperto il paese rendendolo invisibile agli aeroplani, salvando così gli abitanti.
 
Comunque, tralasciando la storia e le leggende, questo era il luogo dove negli anni in cui ancora nel nostro paese c'era un po' di fermento, come quello del mosto, i giovani si coalizzavano in "gruppi". Il nostro gruppo era l'unico, originale e distinguibilissimo "gruppo Trenta". Alcuni ragazzi che ne facevamo parte, eravamo anche i "produttori" di uno dei vini più buoni che io abbia mai bevuto. Il vino "de Nicola de lu volanti"(Nicola del volante, soprannome) che,
 

per la cronaca, di cognome faceva Martino. Il gruppo vendemmia era composto, quindi, da una parte del "gruppo Trenta" e da un paio di fratelli di Attilio. Diretti dall'attento e scrupoloso compare Nicola. La vendemmia veniva effettuata come detto "all'Abati", dallo scarico del camion dell'uva, fino alla "svinatura" che avveniva alcuni giorni dopo, come voluto, sempre, dal direttore, compare Nicola.
 
Per quel che riguarda il travaso, beh, quello non poteva che avvenire a San Martino o meglio la sera di San Martino. Quando Attilio si presentava con una sporta di zeppole e diceva: "Jamuninde all'Abati"(Andiamocene all’Abate). Nello stesso luogo in cui avevamo vendemmiato festeggiavamo il giorno del suo “cognomastico”. Il vino era frizzante, come l'aria de l'Abati lo è sempre stata, ma andava giù a catinelle, inondando i nostri stomaci pieni di zeppole e caldarroste. Lo stare insieme scaldava i nostri cuori e il vino scaldava i nostri animi, ma soprattutto i nostri corpi, a tal punto che al ritorno nessuno si accorgeva de la friscanzana(freddo) de l'Abati, anzi qualcuno si lamentava del troppo caldo, non si sa, appunto, se per l'aver bevuto troppo, oppure perché l'estate di San Martino in quegli anni era al quanto torrida.

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