"I personaggi e gli eventi narrati in questo racconto sono frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone realmente esistite o a fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente casuale."
I cadetti di Guascogna
Un’estate di molti anni fa, su una bancarella, alla festa del Crocifisso, vidi un CD del Boss. – Cugino, quanto vuoi? - Cinque euro. - Ok lo prendo. - Avevo già alcuni suoi CD ma quello non lo avevo mai ascoltato. Anche se erano passati molti anni dall’uscita. In quel periodo erano nati i CD masterizzati a pochi euro. Quel CD era tutto rigato, saltava. Fortunatamente la prima canzone si sentiva bene. E quella bastava per tutto l’album. Non a caso dava il titolo all’album: The ghost of Tom Jod. Quel pezzo era una scheggia che mi si infilava dentro. Da parecchi anni ascoltavo Bruce Springsteen, soprattutto dopo le giornate con Vittorio. Non ho mai studiato inglese, per di più negli anni ‘80/’90 sarei dovuto andare su un vocabolario a tradurmi tutto per cercare di comprendere il significato di quelle canzoni. Ma l’inglese è una lingua a sé. Quelli che l’hanno creata erano
- Nonostante il mio voler stare solo, con qualcuno, raramente, mi ci sento. E un giorno che avevo scritto, qui su Facebook, che alcune persone sapevano solo parlare e non fare. - Chi sa fa chi non sa comanda. - O meglio sapevano solo scrivere. O meglio, ancora, sapevano solo fare scrivere a loro nome. Allora una delle persone con cui, raramente, mi ci si sento mi chiama: – Ciao Mack, sai che sono passati cinquanta anni da quando abbiamo iniziato la scuola con il caro Maestro? Senti tu hai contatti con quello, io ho contatti con quell’altro, perché non organizziamo qualcosa tra, noi compagni di scuola del quinquennio ‘75/’80, per ricordare il Maestro? Pure una semplice “scialata” a li Castagniarejre dove le facevamo con lui quando era tempo di castagne. - Vabbeh, proviamoci. - Avevamo in mente di fare qualcosa di buono che sarebbe dovuto andare oltre una semplice cena. La volontà era di esserci tutti o quasi tutti. – Beh, a chi la cosa non interessava, a chi diceva che non veniva più a San Nicola, io per primo, a chi non rispondeva alle chiamate. Ognuno ha i cazzi propri nella vita. Da capire assolutamente. Quindi dopo un po’ di scazzamenti. - Sapete una cosa? Potrei provare a scrivere una storia su quello che succedeva con il Maestro. Le risate, le mangiate, le mazzate, i suoi modi di essere il Maestro e verso il quale ancora oggi abbiamo una grande stima e un bel ricordo. Non per le sue poesie che lasciano il tempo che trovano rispetto a tutto il resto che noi abbiamo vissuto giorno per giorno. - Si potrebbe provare. Perché no? – Ok. Però vi confesso che io non ce l’ho nelle corde. La cosa mi deve arrivare da sola. Non sono capace a scrivere sforzandomi. - Quindi non si fa niente? - Boh e che ne so… - Intanto settembre andava avanti. Il più testardo di tutti, sul fatto che dovessimo inventarci qualcosa per il Maestro, era Giuseppe. A distanza di tutti questi anni, si sente ancora che è molto attaccato al Maestro. Molto più di noi altri. - Dai scrivete qualche ricordo. Magari tutti insieme tireremo fuori qualcosa. - Zero. - Io voglio scriverla ma non ce l’ho… - Ma si lasciamo stare. - L’altro giorno scrivo: - Ma lo sapete che nel ‘75 le scuole iniziavano il primo ottobre e alcune regioni iniziavano anche dopo? Faccio ancora in tempo a scriverla. Cosa verrà fuori non lo so. Ma deve uscire fuori. - Ecco adesso caricatomi con il sermone inizio.
- 1975 io avevo 5 anni e alla prima elementare si potevano iscrivere i nati nel 1969. Cioè quelli di 6 anni. - L’anno prossimo inizierai le scuole. - Grazie a Dio. Perché non tra due o tre? - Però c’era un però, il Maestro passava sempre davanti a casa mia. Sia per andare e tornare da scuola, sia per andare e tornare dalla piazza. Spesso entrava in casa per bere qualche bicchiere di vino, quello arrivava prima de la suppressata. Mio padre, come tutti, comprava l’uva e faceva il vino per sé. Diciamo per tre sé. Il Maestro aveva il compito, oneroso, di dover assaggiare quelli di tutti i produttori. Per poi, così, scoprire quale fosse il più buono. Con mio padre trovava non una porta aperta ma un portone sfondato. Infatti lui diceva, sempre, che sarebbe stato meglio se fosse caduta una chiesa piuttosto che una bottiglia di vino. Il Maestro, per non essere da meno di mio padre, diceva che era una fortuna avere i musulmani in quanto non bevevano vino e non mangiavano suppressati. Quindi la quota pro-capite era più alta per gli altri. Alle volte se ne scolavano anche un fiasco. - Il Maestro, non ricordo quando e non so come e perché, una mattina mi prese per la mano e mi portò alla Cutura. All’edificio scolastico. Ecco siediti qui e stai con noi. Ricordo solo che prima di entrare io mi misi con le gambe e le braccia larghe per non entrare. Ma a spintoni il Maestro mi fece entrare. Con il noi, chiaramente, intendeva con lui e quelli che sarebbero diventati i miei compagni di scuola. Alcuni anche per i successivi undici anni. Più o meno li conoscevo tutti. Anche se avevano un anno più di me. E per di più ai tempi il paese aveva delle spaccature interne. Alle spaccature politiche e religiose si aggiungeva la spaccatura tra le rughe. - Che spaccamento di palle. - Il paese era diviso in tre settori. Cutura, Piazza e Carìa. Quelli della montagna li vedevamo solo alle feste. E avevano la loro scuola elementare. I ricordi del primo anno si fermano alla prima entrata in classe e quando il Maestro mi portava in altre classi a imparare qualcosa. In una di queste, ricordo Maria Catena che mi insegnava a fare le lettere in corsivo. - Che geni farci imparare a fare il corsivo quando ancora non sapevamo scrivere. – Ricordo vagamente l’esame della primina. Non so quando scoprii che anche Giuseppe e Antonio erano miei coetanei e che erano arrivati in classe, in giorni diversi, più o meno allo stesso modo. In quegli anni, ancora, tenevano separati i maschi dalle femmine. Infatti delle ragazze del paese non ricordo neppure gli anni di nascita. Quando capitava all’uscita di scuola si scambiavano due parole con qualche bambina. Il più delle volte ingiurie o prese in giro. Ma nel caso fosse stata presente la madre, o ancor di più la nonna, sentivi: - Non devi stare vicino ai maschi che prendi la rogna. - Con il Maestro furono cinque anni di scuola e non solo. Con lui facemmo un percorso che andava oltre la didattica. Iniziammo presto a imparare quello che serviva. E quello che lui voleva trasmetterci. L’anno di scuola con il Maestro non poteva non iniziare con la vendemmia. Il tema a lui più caro. Quindi in quei giorni si andava in qualche vigneto. In uno di questi, anche se non era uva per fare il vino, ci spiegava come era fatta un’intera vite. Guarda caso in classe, appese al muro, c’erano tutte le lettere dell’alfabeto. E guarda ancora il caso la consonante V di Vite era indicata con la vite e la vocale U di Uva con il grappolo d’uva. A fine lezione la giornata si chiudeva con il tema sull’argomento. Nello stesso periodo si andava a li Castagnarejre a castagne. Ora secondo voi come era indicata la C? Giusto. Con la Castagna. Il cartello mostrava una castagna a metà dentro al riccio verde. - Quel giorno raccoglievamo le castagne. Noi le mangiavamo crude mentre il Maestro le portava a casa a fare le caldarroste. Poi qualcuna, il giorno dopo, ce la portava anche a noi. In più quando passavamo da via Papa ci portava all’oleificio di Don Peppino e ci faceva vedere tutto il procedimento della molitura delle olive. Altro che attività in laboratorio - Con il Maestro un buon anno scolastico poteva e doveva iniziare solo con la richiesta che si rinnovava di anno in anno: - Chi mi fa una bella verga lunga che arriva a tutti i banchi? - Gregorio sperando in una ricompensa, che magari potesse consistere nel non provarla di persona, si offrì volontario. – Maestro ve la faccio io!! – Bravo. Però deve essere bella dritta e scorticata. Poi la fai bella liscia con un pezzo di vetro. – Maestro non vi preoccupate ci pensiamo noi. – Infatti aggiunse che con lui sarebbe andato anche Carlo. Carlo era di Serra ma quell’anno la sua famiglia era a San Nicola per produrre il carbone. Quindi era in classe con noi. Carlo aveva una sorella bellissima, Claudia, chi non la ricorda? Al pomeriggio a Criscenzo c’eravamo tutti i ragazzi delle elementari e delle medie solo per vederla… - Dopo alcuni giorni Gregorio si presentò tutto contento con la verga voluta dal Maestro. - Maestro guardate che bella, vi piace? - Bella proprio. Bravo! E vene cca mu la provamu! - Nonostante tutto l’impegno e la speranza della ricompensa, Gregorio fu il primo a provarla. Oltre al danno la beffa. - Quello che mi lasciava stranito, del Maestro, era che lui a scuola parlava in italiano. Quando invece ero abituato a sentirlo parlare in dialetto sia prima che dopo la lezione. - Un programma di scuola che si rispetti doveva anche avere l’ora di ginnastica. I giorni invernali li passavamo a correre sul terrazzo o lì sotto, vicino all’asilo. Il freddo ce lo facevamo passare e alcune volte anche la pioggia. Nessuno voleva stare chiuso dentro la scuola. Sempre in quei due posti facevamo l’intervallo. Alcuni giorni durava più del dovuto e il Maestro dalle finestre urlava: - Sopraaaa. - Ma noi continuavamo imperterriti a stare fuori. Quando poi dovevamo proprio risalire, lui mica usava la verga. Rideva. Perché sotto sotto gli piaceva che fossimo un po’ testardi e ribelli. Infatti anche lui lo era stato e lo continuò ad essere. Il Maestro nonostante arrivasse da una famiglia di un certo schieramento politico, le prime due canzoni/poesie che ci insegnò furono: “Bella Ciao” e “Addio mia bella addio”. Le due canzoni/poesie le avremmo dovute imparare a memoria. Per lui facevano parte del programma scolastico. Anche se solo dopo scoprimmo che non lo erano. Se non le imparavi a memoria usava la lista. E cioè un prezzo di tavola lungo, largo e spesso. La lista faceva il palio con la verga. Dieci mazzate sul palmo di ogni mano. - Altre poesie? Ancora, tutti i compagni, ricordiamo quella di Pascoli. I due fanculli. Un giorno Pasquale sbagliò a scriverne il titolo e il Maestro andò avanti un’ora a prenderci tutti per i fondelli per come scrivevamo. E Pasquale preso in giro per gli anni a venire. In quegli anni il Maestro aveva un’altra fissazione. – Sto scrivendo il vocabolario Italiano/Nicolisi. Quindi ognuno di voi ogni giorno mi deve portare un vocabolo nuovo. Ma il più vecchio possibile. Ad oggi non abbiamo avuto modo di sapere se lo abbia mai finito. – Tra risate, mangiate, mazzate e i suoi modi di essere il Maestro, ci si avviava verso Natale. In quel periodo il Maestro dava il meglio. E con gli anni ce lo fece dare anche a noi. Questa cosa mi è rimasta ancora oggi. Il Maestro era un amante del presepe. Ad inizio novembre incominciavano le uscite. Oggi la lezione si fa in giro. Oggi andiamo a lu Laccu per il sughero, pungitopo e muschio. Domani andremo supa li Chiani a creta. Poi al fiume a prendere i sassi bianchi per fare la grotta. Il tutto intermezzato dal compito a casa su quello che avevamo fatto e avevamo visto nei boschi. - Altra giornata di baldoria in classe, allor quando, sempre, Gregorio lesse il suo tema e arrivò nel punto in cui lesse ad alta voce: - Gli uccelli facevano rumore nel bosco. - Al che il Maestro iniziò a battere i pugni sulla cattedra e a cantare: - Zimbatatarazimbatatarazimbazimbazza! Questo è rumore! Gli uccelli cinguettano somaro matricolato che non sei altro. La verga dov’è? - Povero Gore. - Ma chi più chi meno la verga e la lista le provavamo tutti. Negli stessi giorni iniziava la costruzione del presepe. - I banchi li stringiamo tutti dalla parte delle finestre. In quell’angolo mettiamo due cattedre e sopra ci facciamo il presepe. Un anno addirittura facemmo degli archi con dei rami di corbezzolo e arancio con i relativi frutti. Dopo giorni e giorni di impegno il presepe era pronto. Il direttore, tutti gli insegnanti, le suore dall’asilo e tutti gli alunni venivano a vedere la nostra piccola opera d’arte. Tra noi non so chi sarebbe potuto diventare, altrimenti, artista. Uno forse sì. Tommaso. Quando c’era da disegnare lui amava disegnare le rondini e i passeri. Erano tali e quali a quelli sui libri. Ancora oggi penso sia stato un peccato non continuare. - Visto che non eravamo né artisti, né musicisti, né cantanti, un anno gli venne in mente una trovata delle sue. - Domani ognuno di voi deve portare qualcosa che si usa per cucinare. - E a ognuno di noi chiese un oggetto o due. - Tu porti una marmitta, tu lo scolapasta di ferro. Tu un coppino, tu le forchette. Tu la schiumarola. Un paio di mestoli di legno. Un po’ di coltelli, quelli grandi, e un po’ di piatti dove mangiate. - Non ci disse nulla su cosa sarebbero serviti quegli attrezzi. Il giorno seguente noi tutti attrezzati. Lui arrivò con la sua amata fisarmonica. Che poggiò sulla cattedra. – Bene. Bruno fammi vedere cosa hai portato. Tu Maurizio? Voi Nazzareno e Domenico chi portastivu? - Allora tu con queste quando ti faccio il segno fai così, tu così. E ci faceva provare o meglio accordare. - Po, po, poooo. Così, bravo. - Quando fummo tutti pronti il Maestro imbracciò la fisarmonica e iniziò a suonare. - Bruno vai, Nazzareno e Domenico voi due. Maurizio dai. Mo’, no domane… - Si andò avanti giorni e giorni a provare. - Nel frattempo dovete imparare questa canzone: - Noi siamo i cadetti di Guascogna veniam dalla Spagna andiamo a Bologna [...]” - Dopo uno o due mesi quando fummo finalmente pronti il Maestro volle dimostrare di cosa era stato capace. Ma non poteva invitare, come al solito, solo il direttore, gli insegnati della nostra scuola e le suore dell’asilo. Organizzò una giornata nella scuola di Vallelonga dove avremmo suonato quella canzone davanti a tutta la scuola di Vallelonga. Fu una giornata memorabile. Alcuni di noi con le pentole e gli scolapasta in testa. - Un anno ci fu un’occasione particolare dove il Maestro sembrò ringiovanire. Fu quando arrivò una nuova maestra e lui la volle accogliere nel migliore dei modi. Organizzò, nella nostra classe, un rinfresco, con pane mortadella e provolone, che aveva comprato da Ida. Qualche bottiglia di aranciata e una bottiglia di vermouth. E noi a fare i compiti. Ma quando il maestro e gli altri insegnanti uscirono, dalla classe, facemmo piazza pulita di pane, affettati e bevande. Quando il maestro tornò e vide che non era rimasto nulla. Con il sorriso sotto i baffi chiese chi avesse mangiato le cose che erano rimaste. - Un po’ tutti Maestro. - Avete fatto bene e se qualcuno non ha mangiato è proprio nu cunnu. - Il due febbraio che era la festa della Candelora a scuola non si andava. C’era da andare alla Processione. Poi iniziava il periodo di Carnevale e bisognava fare i temi su quell’argomento ed imparare tutte le maschere per ogni città d’Italia. - Con la primavera ritornava lo spasso come per la vendemmia e per il presepe. Temi sulla nuova stagione. Tommaso che poteva scatenarsi con i suoi disegni. Le scampagnate a lu Santissimo a casa di Francesco. Dove il Maestro, oltre a trovare vino e suppressati, poteva trovare anche del buon formaggio caprino. - Domani portate il tema su questa giornata quello che abbiamo fatto e i vostri pensieri su questa giornata. Il giorno seguente a qualcuno faceva scrivere un pezzo del tema sulla lavagna. Quel giorno toccò a Bruno. E lui iniziò a scrivere. Ma né il Maestro né noi riuscivamo a leggere per quanto piccole erano le lettere. Allora il Maestro gli fa: - Ah Bruno, non potevi scrivere più piccolo? - Lui cancella e scrive di nuovo la stessa frase ma più piccola. – Ah Bruno ti ho detto di scrivere più piccolo. E Bruno ricancella e riscrive più piccolo. Allora il Maestro partì con una serie di: - Più piccolo, più piccolo. – E Bruno ogni volta cancellava e riscriveva. Fin quando non capì che il Maestro si prendeva gioco di lui e che noi eravamo piegati dal ridere. - Con l’inizio della primavera l’ora di ginnastica si faceva sul campo sportivo. Tra il tempo per andare e tornare passava tutta la giornata di scuola. Ricordo un giorno che uscimmo, come spesso accadeva, alle dodici, mentre l’orario di uscita era le dodici e mezza, e tornando a casa, scendendo da Via Alpini, vidi la macchina dei Carabinieri messa di traverso proprio nella curva della Via Regia. Allora andai di corsa alla balconata per vedere cos’era successo. Ogni macchina veniva fermata e controllati gli interni e i bauli. Era il 16 marzo 1978. Solo dopo in TV ascoltai che avevano sequestrato Aldo Moro. Chi fosse non lo sapevo. Sapevo solo che il Presidente della Repubblica era Giovanni Leone. Avevano la sua foto in classe. Ma nonostante l’età mi chiesi come avrebbe fatto Moro ad essere già in Calabria nonostante fosse stato sequestrato, a Roma, alle nove. - In quello stesso anno Domenic partì per il Canada con tutta la sua famiglia. Ma quella cosa invece che allontanarci ci unì ancor di più. Anche se lo avremmo rivisto a distanza di molti anni. Domenic era molto attivo ed estroverso e negli anni è rimasto lo stesso. Mi sembra di vederlo con il pizzetto già alle elementari. Divenne famoso per una biglia di ferro che ingoiò e venne portato in ospedale. Ma fu quello lo stesso anno in cui ci fu il tragico incidente in cui perse la vita un nostro caro compagno di scuola. Nicola, un ragazzo buono e tranquillo. Abitava vicino alla scuola e la tragedia avvenne a pochi passi dalla stessa. Chi dimenticherà mai quel maledetto giorno in cui sentimmo le urla strazianti dei genitori e delle sorelle arrivare da sopra la scuola. Eravamo fermi sotto il terrazzo, ammutoliti senza sapere cosa fare, visto che tra gli adulti c’era un fuggi fuggi per avviarsi sul luogo della tragedia. - Voi andatevene in classe di corsa. - Una brutta storia che con il tempo noi, e tutti gli altri, ci dovemmo far pesare meno. Il Maestro con noi. Ma sapeva che lui per primo doveva dare una sferzata a quel triste periodo. Aveva davanti un gruppetto di bambini che non poteva assolutamente lasciare in balìa dello sconforto e della tristezza. Quindi pian piano, con il passare dei giorni e con quel peso nel cuore, tornammo ad essere come prima. I bambini sanno farsi pesare meno le cose, rispetto agli adulti. - Con l’arrivo delle tiepide giornate il Maestro decideva che l’intervallo si sarebbe fatto in piazza. E che intervallo. Si andava al bar di Michele. Lui con il suo fedele cane Diana, al guinzaglio. Noi con i guinzagli delle urla. - Ma, come ho già scritto, lui voleva che fossimo un po’ fuori dagli schemi. Anche se poi ai miei, e penso anche agli altri genitori, diceva che ero troppo spericolato. - Una volta al bar, a noi comprava i ghiaccioli e ci dava cinquanta lire per giocare al biliardino. E noi, per poter giocare tutti, usavamo il noto trucchetto per far uscire la pallina quando facevamo gol. Per lui e per il suo fedele cane Diana, invece, comprava il cono con una pallina. Limone o nocciola. Il Maestro mangiava la pallina e al cane faceva mangiare il cono con il gelato che ci finiva dentro. Al pomeriggio alcuni compagni andavamo al Santissimo a trovare Francesco. Lì passavamo tutto il pomeriggio a giocare a pallone, a guardare le capre e a fumare. Quando avevamo qualche lira ci compravamo le nazionali senza filtro. E quando non avevamo soldi al posto del tabacco usavamo le foglie di quercia arrotolate nelle cartine. Fatte con la carta del pane. Una mattina, per fare un po’ i fighetti, quel pacco di sigarette lo mostravamo agli altri. Ma di colpo arrivò il Maestro e vide il pacchetto. - Datemi queste sigarette e subito tutti in classe. Che dopo vi sistemo io. - Quando il Maestro entrò in classe non disse nulla e si accese una nazionale. - Mettetevi il fazzoletto davanti alla bocca e al naso. - E a ognuno di noi soffiò il fumo della sigaretta sul fazzoletto. - Ecco cosa vi arriva nei polmoni “cu sti cazzu de sicarette”. - I cinque anni volarono via. Eravamo dispiaciuti del fatto che non saremmo stati più insieme a lui. E sapevamo anche che Giuseppe e Antonio sarebbero andati in un’altra scuola. Prima degli esami ci fu il regalo della gita scolastica. - Si va tutti, anche quelli di Vallelonga, in Campania. Caserta, Pompei, Capri, Sorrento. - Ma il Maestro non venne con noi. - Tornammo con la preoccupazione degli esami. Poi, quello degli esami, ci sembrò solo un giorno in più passato in classe tutti insieme. Passammo alle medie dove ci fu la brutta sorpresa della divisione in due classi. Sezione A e sezione B. Alle medie si poteva stare insieme maschi e femmine. Ma solo in classe. La scuola era vicina a casa del Maestro. Lo vedevamo passare. L’ora di ginnastica la facevamo a lu Largu e quindi passavamo davanti casa sua. Dopo i primi giorni in via Belvedere tornammo alla Cutura. Le scuole medie le avevano spostate all’ex asilo. Il Maestro era sempre lì vicino e non perdeva occasione per prenderci per i fondelli. – Ragazzi mi raccomando stasera tutti in piazza che bruciamo i libri. - Negli anni successivi continuò a passare da casa mia e continuò nel suo gravoso compito di dover “assaggiare” il vino. - Anche se il vino è della stessa botte magari quello di questo fiasco è diverso. - In più dava ripetizioni alle mie sorelle. E qui avvenne l’inaspettato: - Il Maestro oltre a parlare in italiano parlava pure in inglese e francese e in quel momento non ci capii più nulla. E sti cazzi Maestro…


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