Il Mostro
È proprio vero, la
nostra memoria è come un’immensa cassettiera interconnessa. In ogni cassetto un
ricordo. Quando apri un cassetto automaticamente se ne apre un altro connesso al
precedente. Sappiamo cosa ci sia in quei cassetti ma alle volte frugando dentro
quei cassetti, vengono fuori delle cose che ormai si pensava fossero state
cancellate dall’hard disk. Ma, come ben sappiamo oggi, dall’hard disk molti
file possono essere recuperati, da alcuni programmi in questo caso da stati
d’animo o da situazioni che molto somigliano a quelle che si credevano
cancellate. Infatti raccontando degli anni in cui eravamo distratti, quelli in
cui vivevamo con quell’insostenibile leggerezza dell’essere, mi è tornato in
mente che il nostro amico maggiorenne, non solo guidava la macchina di suo
padre ma anche quella del fratello. Entrambe FIAT 131. Non sono mai salito su un'auto più comoda della 131. Quando ti sedevi dietro era come sul pullman quando ti sedevi ai posti in fondo, nella parte centrale del corridoio. Le 131 erano una
verde, quella del padre, e una con un colore strano, una specie di rosso/fucsia
del fratello più grande. Quest’ultima 131 la chiamavamo il “Mostro”. Forse per
come era ridotta e per come si “comportava”. Infatti un giorno mentre andavamo
al mare nei tornanti, che ci portavano giù dalla collina, quando si girava a
destra iniziava a suonare il clacson fino a quando lo sterzo non girava nella
direzione opposta. Quando si era in rettilineo o si girava a sinistra nessun “comportamento”
strano. Quel giorno dopo il mare, al ritorno, invece di andare alla gelateria “Enrico”,
come spesso capitava, andammo più in là de La Murena, verso Pizzo, che
solitamente frequentavano le sere d’inverno in cerca di qualche pizzeria.
Arrivati nel centro abitato c’erano i vigili. Ma la strada era dritta quindi
nessun problema. Quando il vigile decise di fermarci e a dire ad Attilio
“parcheggia sulla destra” il mostro iniziò a strombazzare all’impazzata. “Che
cavolo suoni?” – “Non sono io è la macchina”. Scende alza il cofano e stacca
qualche filo per tacitare il Mostro. Una sera andammo a una pizzeria verso
Serra sempre con il Mostro. Era inverno. In quegli anni era divenuta una zona
poco raccomandabile con un sacco di attentati e altre brutte storie. Infatti
era stato mandato l’esercito. E a un bivio che portava a Serra c’era un posto
di blocco h24. Essendo una zona fredda la sera e la notte avevano un falò sempre
acceso. Quella sera ci fermarono e controllarono lo stato del Mostro e il suo
contenuto. Come avrete capito lo stato del Mostro era pessimo e al suo interno
c’erano anche delle cose che il nostro amico, come tutti, si era portato via da
militare. Uno di loro disse: “Andatevene via subito e non fatevi più vedere da
queste parti, sennò vi sequestriamo la macchina”. Veramente si chiama Mostro...
Solo che al ritorno dovevamo ripassare da lì. Al ritorno un cenno: “Siamo
sempre noi”. Come detto, lui era più grande di noi ma aveva un fratello della
mia età, abitavamo vicini.Il fratello
in quegli anni aveva un’altra compagnia, mentre la nostra, di compagnia, si
rinsaldò ancor di più quando si fidanzò con la sorella di un altro nostro
amico. Di suo padre ancora ricordo il fischio. Da bambini alla sera, quando era
ora di cenare o di rincasare, si sentiva quel fischio. E i due fratelli non
esitavano un secondo a salutarci e a tornare a casa. Con lui, i suoi fratelli e
suo padre si vendemmiava e dalla sera di San Martino si cominciava a consumare
quel vino. Una sera, proprio a San Martino, in 5 ne bevemmo 15 litri. Lo so
bene perché riempivamo una damigiana da 5 litri direttamente dalla botte. Un 25 aprile c’era un caldo asfissiante. Oggi si sarebbe
data la colpa al cambiamento climatico. Avevamo deciso di andare al mare. Ma
c’era qualche lavoretto da fare e quindi aveva bisogno di aiuto. Allora
decidemmo di andarci al primo maggio. Tanto sarà caldo anche quel giorno,
pensammo. Al primo maggio andammo al mare ma c’era un freddo cane. Ma ormai era
d’obbligo farsi il bagno. Prendiamoci questa botta di freddo e poi torniamo a
casa. Quell’estate ci portava spesso al mare anche perché ci andava la
fidanzata con i parenti francesi e noi dietro a lei. Prima di lei, ancora
quando era militare, sempre al mare, si era invaghito di una ragazza a cui
chiese l’indirizzo promettendole che le avrebbe mandato una cartolina da dove
era militare. “Va bene” disse lei, “Però sulla cartolina non ti firmare con un nome
da maschio. Firmati Attilia, così so che sei tu”. Il posto dove vendemmiavamo e
dove festeggiavamo era sulla strada che portava al mare. Un giorno passò la
fidanzata che come quasi tutti i giorni, per un paio di settimane, andava al
mare con i parenti francesi. Tra loro c'era una ragazza, un po’ più piccola di
me, carinissima, che la volta prima, sempre al mare, avevo conosciuto. Si fermarono
con la macchina e dissero: “Vi aspettiamo al mare”. Ma il giorno prima avevano
mezzo litigato e lui era poco propenso ad andarci. E io dentro di me ripetevo: “E
andiamo, e andiamo”. Niente, non ci andammo. Così la francesina